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Domenica 9 ottobre 2011
A noi preme qui dare rilievo al disappunto di un padre che scopre nel figlio l’assenza del sentimento della vergogna. Consideriamo soltanto per un po’ l’età e la condizione ‘sanitaria’ del figlio: 24 anni, drug free da oltre un anno. Si potrebbe obiettare a quanto sto per dire che Giulio è reduce da un programma di recupero interrotto dopo meno di un anno, quindi il suo stato ‘emozionale’ non è riconducibile senz’altro a quello di ogni altro ventiquattrenne che non abbia mai fatto uso di sostanze. Il suo benessere generale consente di dire che gode di un discreto equilibrio generale.
Ritengo che la carenza morale riscontrata dal padre Alessandro in Giulio possa essere fatta risalire alla più generale condizione dei ragazzi di oggi i quali, in seguito ai mutamenti intervenuti negli stili educativi, sembrano crescere con modalità del tutto differenti da quelle che hanno conosciuto le generazioni precedenti. I testi che seguono bastano da soli a favorire la conoscenza. La convinzione che ci sia bisogno di una cultura dell’ascolto, cioè che si debba esplorare la cultura scientifica e filosofica del nostro tempo, è confermata qui.
In questo caso, parlare di cultura dell’ascolto significa che viene in nostro aiuto la conoscenza che ci viene restituita dalla Filosofia – la necessità ontologica della vergogna – e dalla Psicologia clinica – i fondamenti della vergogna -, assieme alla lettura che Pietropolli Charmet dà della condizione giovanile di oggi.
Voglio dire: se ho di fronte un giovane spavaldo, incapace di vergognarsi di quello che fa e dice, come affronterò nel corso del lavoro di ascolto una condizione che non costituisce ‘patologia’ personale e basta? Bisogna fare l’invio agli psicoterapeuti? Egli non vive come fonte di disagio il suo ‘egocentrismo’ esasperato. Non vi sembra materia di studio? che si debba comprendere a fondo cosa sia più opportuno fare? Sicuramente, sarà indicato come stile di vita e come modo di sentire una più chiara percezione dei diritti degli altri, ma questo costituisce un orizzonte di senso che è fatto sentire fin dal primo contatto: il lavoro di motivazione comprende lo svezzamento dalle sostanze e l’apprendimento di nuovi stili di vita, ma al di fuori del più impegnativo programma residenziale in una Comunità incidere sulla capacità di apprendere è il compito più grande. Le resistenze al cambiamento non sono solo ‘private’, cioè riconducibili a tratti della personalità e del carattere o all’educazione ricevuta a casa: i riferimenti costanti da parte di Giulio al gruppo dei pari e al mondo degli adulti sono costanti. Da parecchi mesi lo scrivente nei colloqui personali e il gruppo esperienziale in cui è inserito cercano di indicare altri modi di riflettere sull’esperienza personale, senza successo.
Leggere
GUSTAVO PIETROPOLLI CHARMET, Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi, LATERZA 2008
AGNESE GALOTTI, Vergogna e immagine di sé. Un emergere di rossori, imbarazzi e timori che aprono comunque alla percezione dell’Alterità. (da Individuazione, Trimestrale di Psicologia analitica 52/2005)
CINZIA SABBATINI PEVERIERI, La necessità ontologica della vergogna, da Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia, anno 2 (2000) [inserito l'8 gennaio 2000]
ANNA MARIA BENEDETTO e ANDREA GRAGNANI, I Fondamenti teorico-clinici della Vergogna, “Psicoterapia”, 1997 Apr-Giu, 9: 47-66 - Associazione di Psicologia Cognitiva, Roma
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