Una conferenza nazionale a maggio, per l’estate feste popolari in tutta Italia, poi un seminario con i giovani a settembre e il primo congresso in autunno: è questo il fitto calendario di impegni che aspetta Comunisti – Sinistra Popolare nei prossimi mesi, mentre continua nelle piazze la raccolta di firme per una proposta di legge contro la precarietà. Dunque una fase di consolidamento, di crescita e di lotta, decisamente in controtendenza rispetto ai tetri rintocchi di chi dà ormai per spacciata la presenza dei comunisti in Italia. Cerchiamo di capire qualcosa in più di questo progetto che tenta di ricostruire – sulle macerie di una sinistra ormai da anni arresa e perdente – una forza politica autonoma di vera ed efficace opposizione, totalmente dalla parte dei lavoratori, delle donne, dei giovani precari, degli sfruttati. E lo facciamo parlando con chi questo movimento lo ha fondato, Marco Rizzo.
Tornare tra le gente, ripartire dalle lotte: vi siete presentati, negli scorsi mesi, utilizzando questo slogan. È ancora questa la vostra strategia?
Riteniamo che sia l’unica ricetta per curare quel malato che è la sinistra, proprio in un momento in cui la crisi strutturale del capitalismo si manifesta in modo lampante, dando forza alle ragioni del cambiamento. Questo sistema non regge più: collassa nelle sue dinamiche interne di crisi economica e finanziaria e mette a repentaglio l’intero pianeta, poiché si basa sul consumo illimitato delle risorse, che invece sono al lumicino. Di qui l’attualità non schematica del pensiero di Marx e l’attualità di guardare, per il futuro, al socialismo: un sistema che si faccia carico di un’equa distribuzione delle risorse, ma anche di programmare in modo differente le tappe dello sviluppo umano. E proprio adesso, mentre i segnali che provengono, ad esempio dalla Grecia, rafforzano quest’evidenza ci troviamo nel momento in cui la sinistra è al punto più basso della sua Storia, almeno in Italia.
Come riconquistare quel popolo che – a differenza del passato – sembra oggi nutrire così scarsa fiducia nei confronti della sinistra?
Solo una ventina d’anni fa, un elettore su tre votava per il Partito Comunista Italiano. Non tutti coloro che esprimevano questa preferenza erano comunisti, ma anche per quelli che comunisti non erano quel partito, ed anche le esperienze del movimento operaio e studentesco, erano garanzia di cambiamento, onestà e lotta. Oggi invece la parola “comunista” evoca non solo i patetici esorcismi berlusconiani, ma anche una svendita governista e una corsa alle poltrone, proprio da parte di coloro che, di questa lotta al privilegio, dovrebbero esserne l’antidoto. Inoltre si consuma in maniera sempre più grave il distacco tra la politica “di mestiere” e la rappresentanza sociale. Scomodando Marx possiamo dire che molti deputati della sinistra, anche comunisti, hanno pensato più che altro alla rappresentanza individuale: la loro. Ora dobbiamo invertire la rotta e riconquistare, nel medio-lungo periodo, il nostro popolo. Riteniamo ad esempio che l’elemento della consultazione elettorale debba essere non un fine ultimo, ma una verifica del lavoro compiuto sul campo. Solo così si potrà stabilire una corretta relazione tra mezzi e fini.
Insomma siamo di fronte a una politica totalmente staccata dalla realtà…
È proprio così. Ma dirò di più: le scelte compiute dai partiti si basano spesso su logiche estranee all’interesse concreto dei lavoratori, dei giovani, del popolo, e si rivelano solo compromessi necessari a mantenere il carrozzone della politica “di mestiere”. Quanto hanno inciso ad esempio gli sbarramenti elettorali nelle scelte dei partitini che ancora si definiscono comunisti? E ancora, le varie alleanze con il Pd – che io reputo sbagliate – sono state più volute o più subite sotto il ricatto dell’azzeramento, finendo comunque per spingere la sinistra a un ruolo del tutto marginale? Gli stessi devastanti accorpamenti elettorali tipo l’Arcobaleno o la Federazione sono stati dei veri matrimoni d’amore? Tutti questi esempi dimostrano quanto sia urgente liberarsi di questa politica mestierante e invece individuare la prospettiva nell’autonomia totale. Solo con un moderno, efficace, indipendente Partito Comunista potremo scegliere e costruire il cambiamento necessario. Di fronte alla grave situazione che stiamo vivendo aumenteranno le lotte, si inasprirà il conflitto di classe, ma difficilmente senza una guida seria ed efficace queste lotte porteranno ad una vera svolta. Per questo abbiamo bisogno dello strumento: il Partito Comunista. E, aggiungo, ci vorrà del tempo…
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di un obiettivo velleitario…
Rispondo con un dato evidente: tutte le volte che, negli ultimi vent’anni, abbiamo “scartato” da questo percorso, abbiamo dovuto fare i conti con un fallimento e con un peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Siamo arrivati alla scomparsa della sinistra nelle istituzioni, ma il male peggiore é che stiamo perdendo il rispetto della nostra gente. E la frammentazione proseguirà se non ci facciamo carico della necessità di un’inversione di tendenza. Sappiamo che non siamo solo noi, come Comunisti-Sinistra Popolare, il futuro partito, ma abbiamo il compito di costruire una massa critica sufficiente per poterci rivolgere a tutti quelli che oggi sono organizzati in varie forme e modi, con la prospettiva di sciogliersi e costruire insieme questa nuova esperienza unitaria e costituente. Un’esperienza che si basi quindi sulla fine della politica “di mestiere”, sull’autonomia organizzativa, politica e culturale dei comunisti, sul riconoscimento e la riscoperta della centralità del conflitto capitale-lavoro.
Perché la scelta dell’aggettivo “popolare” nel vostro nome?
È un segno di contrarietà alla politica radical-chic, alla politica dei fighetti, dei salotti. Noi investiamo nelle periferie e non ci interessano le sedi sontuose, ma il rapporto con la gente. Quindi il nome è anche un programma: siamo i comunisti che vogliono ricostruire una sinistra popolare, perché senza comunisti non c’è sinistra.
Cosa deve aspettarsi di trovare un giovane che inizi a frequentare il vostro movimento?
Vogliamo attirare l’attenzione di tutti coloro che ritengono che il cambiamento sia necessario e che vogliono impegnarsi per questo. Chiediamo invece in tutta sincerità a chi vede la politica come pulsione rampante, come carriera, di astenersi dal frequentarci. Ci sono tanti altre forze politiche in cui esercitare queste attitudini. Vogliamo che le nostre sezioni siano un terminale delle lotte che si compiono sul territorio, un luogo d’integrazione e di aggregazione realmente alternativo ai modelli proposti dal sistema. Noi, lo ripeto, siamo contro i mestieranti della politica ed individuiamo nella “politica di mestiere” una delle cause principali dell’azzeramento della rappresentanza di classe. Possiamo garantire a tutti, invece, il nostro impegno per una passione durevole per il cambiamento, la stessa che spinse migliaia di giovani e giovanissimi proletari a opporsi al fascismo, a diventare partigiani, a lottare strenuamente nel dopoguerra per un’Italia più libera e più giusta.
In che senso può essere utile riscoprire la centralità del conflitto capitale-lavoro?
Negli anni settanta, quando le lotte del movimento operaio erano in fase di avanzata, ne usufruiva positivamente tutto il Paese. Grandi conquiste come lo statuto dei lavoratori trascinavano con sé il progresso anche dei cosiddetti diritti civili: penso al divorzio, all’aborto, a un atteggiamento decisamente più laico delle istituzioni, alla cultura. Se noi non ci riappropriamo della contraddizione principale, quella tra capitale e lavoro, non potremo incidere significativamente su tutte le altre: penso al divario tra il Sud e il Nord, alla condizione della donna nella nostra società, al problema dell’oscurantismo clericale, ai migranti.
È una conclusione un po’ ideologica, la tua…
Sì, perché negarlo? Ritengo necessario riscoprire la forza delle idee e dell’ideologia. Chi ne ha disconosciuto il valore, chi ha negato che fosse necessario un riferimento alto a valori e prospettive, lo ha fatto – e lo fa – solo per coprire la sua, di ideologia: non fare nulla e lasciare le cose restino così come sono e, per la stragrande maggioranza, vadano sempre peggio.