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Convegno sul tema:”Una legge sulla libertà religiosa.Urgente, inutile, impossibile?”, promosso dalla FCEI

Creato il 16 maggio 2012 da Wally26

Convegno di studio promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Apre il Convegno il vicepresidente del Senato Vannino Chiti. Introduzione del Presidente FCEI, Massimo Aquilante. Intervengono, fra gli altri: Francesco Margiotta Broglio (Università di Firenze), Silvio Ferrari (Università Statale di Milano), Marco Ventura (Università di Siena) e Gianni Long (LUISS, già presidente FCEI), don Gino Battaglia (Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI), Tiziano Rimoldi (Unione avventista), Franco Di Maria (Unione induista), Mariangela Falà (Unione Buddhista italiana), Yahia Pallavicini (Comunità islamiche), Lucio Malan (PdL), Vincenzo Vita (PD), Sandro Oliveri (MpA), Benedetto Della Vedova (FLI), Fabio Mussi (SEL), Fabio Evangelisti (IdV) e Donatella Poretti (Radicali)

Ecco l’audio tratto da Radio Radicale

Di seguito un’approfondimento di Paolo Naso tratto dal mensile Confronti.net

È iniziata alla Camera dei deputati la discussione su un progetto di legge sulla libertà religiosa che abroghi le norme fasciste del 1929 e 1930 sui «culti ammessi». Ampio consenso delle comunità religiose di minoranza; via libera ma con prudenza da parte della Cei; le solite barricate della Lega Nord.

«Disposizioni sui culti ammessi nello Stato»: è questo il titolo della legge del 1929, poi integrata da provvedimenti dell’anno successivo, che ancora oggi regolamenta i rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni diverse dalla cattolica che non abbiano stipulato una «Intesa». Una legge fascista, nata con l’esplicito intento di contenere e reprimere la diffusione delle altre confessione religiose, quelle diverse dalla cattolica.

Una legge che consentì l’emanazione di una circolare del Ministero dell’Interno che ancora oggi stupisce per la sua rozza intolleranza: la cosiddetta «Buffarini Guidi» – dal nome del sottosegretario all’Interno che la emanò nel 1935 – che bandì dal Regno il culto pentecostale «essendo risultato che esso si estrinseca e si concreta in pratiche religiose contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza».

La Costituzione repubblicana non ha abrogato quella legge ma, negli anni, l’ha depurata dei suoi connotati più intolleranti ed illiberali. Tuttavia resta una normativa sui «culti ammessi» e non sulla «libertà religiosa». Non è una semplice questione nominalistica, ma di contenuti politici e di garanzie democratiche nei confronti di un numero crescente di comunità di fede che si radicano in Italia. Oltre seicento, come ormai da anni registra il Cesnur, il Centro studi sulle nuove religioni diretto da Massimo Introvigne.

Di queste, solo sei dispongono di un’Intesa con lo Stato: valdesi-metodisti, avventisti, pentecostali delle Assemblee di Dio in Italia, ebrei, battisti, luterani. Quanto agli altri, solo qualcuno è un Ente di culto riconosciuto dallo Stato italiano ed è quindi nella condizione, ad esempio, di celebrare matrimoni religiosi che abbiano effetto civile. Ma l’assoluta maggioranza resta in una condizione di precarietà giuridica. Sono comunità che, pur contando centinaia di migliaia di membri – pensiamo alle chiese ortodosse o ai musulmani – sotto il profilo del riconoscimento istituzionale valgono quanto una società bocciofila e meno di una qualsiasi onlus.

«Ugualmente libere di fronte alla legge», dice di tutte le comunità di fede la Costituzione italiana, all’articolo 8. Eppure, come sappiamo bene, esiste una piramide gerarchica al cui vertice sta la Chiesa cattolica tutelata dal Concordato; quindi, più in basso, le comunità che hanno un’Intesa; poi quelle che hanno un riconoscimento giuridico e, infine, alla base, l’assoluta maggioranza che vive come può, in una situazione di estrema incertezza e di scarsissima tutela del loro diritto alla libertà di culto. Sono le comunità i cui ministri non possono entrare in un carcere o in un ospedale; che sono costrette a intestare i luoghi di culto a un privato; che non hanno accesso a nessuna delle agevolazioni fiscali riconosciute alle confessioni collocate ai piani superiori della piramide.

Di legge sulla libertà religiosa si parla dal 1984 quando Bettino Craxi, alla vigilia della revisione del Concordato con la Chiesa cattolica e dell’approvazione delle Intese con l’Unione delle chiese valdesi e metodiste, annunciò una «normativa di diritto comune» per tutte le altre confessioni.

In realtà nulla accadde sino al 1989, nell’epoca antica di un governo presieduto da Ciriaco De Mita. Un anno dopo, per l’esattezza il 13 settembre, il progetto venne assunto dal governo Andreotti che però resse per due anni soltanto. Troppo pochi per un provvedimento giudicato non prioritario. E la legge, che non giunse mai in aula, si inabissò sino alla XIII legislatura, quella dei governi Prodi, D’Alema e Amato. Sembrava fosse la volta buona. La relazione del progetto di legge venne affidata a Domenico Maselli, deputato dei Cristiano sociali, storico del cristianesimo e pastore evangelico. Difficile immaginare circostanze politiche più favorevoli, eppure le turbolenze che colpirono quei governi finirono per prolungare i tempi di discussione e, alla fine, il progetto non giunse al voto finale dell’Aula.

Col 2001 arrivò la vittoria di Berlusconi. L’eredità del progetto Maselli venne raccolta da Valdo Spini (Ds); ma anche il premier dichiarò di voler proseguire sulla strada ormai ben tracciata dai suoi predecessori. E in effetti il suo progetto – relatore alla Camera addirittura Sandro Bondi – pur con qualche riserva, fu ben accolto da diversi esponenti delle comunità di fede «diverse dalla cattolica». I quali, però, non avevano ben calcolato il «fattore Lega». In Commissione Affari costituzionali, infatti, il partito di Bossi riuscì a far approvare una serie di emendamenti che cambiavano radicalmente il segno del provvedimento. «Piuttosto che questa legge, meglio tenerci quella del 1929», fu il commento unanime di alcuni giuristi e dei leader di diverse confessioni di minoranza. E ancora una volta il progetto finì nel cassetto, sino all’apertura della nuova legislatura. Questa volta si parte per tempo e il precedente progetto Spini, riproposto da lui stesso e da Marco Boato (Verdi), è già alla discussione della Commissione Affari costituzionali della Camera. Un altro progetto è stato avanzato, al Senato, da Lucio Malan (Forza Italia).

Il consenso delle varie confessioni di minoranza sui testi Boato e Spini – diversi per un semplice comma – è molto ampio e si è espresso esplicitamente nel corso di alcune audizioni volute dalla Commissioni Affari costituzionali e realizzate nel mese di gennaio. Il progetto di legge, del resto, risponde alle principali richieste avanzate dalle varie comunità: tutela della libertà di confessare il proprio culto e della libertà di coscienza; riconoscimento dei ministri di culto; tutela degli edifici di culto; precise procedure per il riconoscimento giuridico e la richiesta di un’Intesa.

L’articolo 11, quello che ha scatenato un fiume di polemiche, regolamenta il matrimonio riconoscendo alle confessioni «aventi personalità giuridica» il diritto di celebrare matrimoni che hanno valore civile. Ma così «si rischia di legittimare la poligamia» – ha denunciato Magdi Allam sul Corriere della sera del 5 gennaio – e di consegnare il presente e il futuro dell’islam d’Italia al movimento estremista dei Fratelli musulmani, da noi rappresentato dall’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia)».

Non è vero, e la smentita giunge da una voce non sospetta come quella del consulente giuridico della Cei, il giurista Venerando Marano: «Non c’entra nulla il matrimonio poligamico con questa legge sulla libertà religiosa – ha affermato in un’intervista a Radio vaticana ripresa dall’agenzia Apcom – anche perché nel nostro ordinamento esistono precise norme: penso all’art. 86 del Codice civile sul divieto di bigamia, penso alle previsioni del Codice penale che sanciscono tali comportamenti, che impediscono qualsiasi ipotesi di matrimonio poligamico e lo rendono illegittimo oltre che contrastante, come è noto, con i principi cardine del nostro ordinamento costituzionale».

Insomma, forse potrebbe essere la volta buona. Condizionale d’obbligo sia per l’ovvia considerazione che perché passi al Senato occorre un accordo politico almeno con alcuni settori del centrodestra; ma anche perché i suoi nemici di sempre hanno già iniziato a tuonare: «È una legge molto pericolosa – ha dichiarato all’agenzia Apcom Roberto Cota, deputato della Lega Nord Padania –. È inutile menare il can per l’aia: vogliamo che la nostra società venga islamizzata o vogliamo difendere la nostra identità?». Film già visto. Speriamo che cambi il finale.


Filed under: Politica Italiana, Religione


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