A partire dai libri. Un laureato in Lettere classiche come me non solo ha sempre avuto carta tra le mani, ma ha sempre avuto carta che parlava di altra carta, in un circuito chiuso, dove non sembrava entrare vita che non fosse scritta (e nei casi più infelici è così). Semmai, mi sono interrogato sulla natura dei supporti per questo mondo e per la sua sopravvivenza.
Ho circolato a lungo tra testi, la mia esistenza igienica di studioso è sempre stata, se non inconcludente, intransitiva. I risultati che raggiunge un laureato in Lettere, o in materie umanistiche in genere, sono tali da essere scritti su altra carta, i curricula, e non se ne esce: non si fa che rimandare a una codificazione astratta che solo indirettamente, attaverso lo stipendio, procura sussistenza e beni mateirali.
Ben diversa è la cucina: mi interrogo sui risultati che voglio ottenere, scelgo la materia, mi interrogo su come modificarla, sporco e mi sporco, il risultato è altro da me e dalle mie intenzioni. In cucina, un dolce si mangia, non si afferma un principio, non ci sono proclami teorici, c'è un risultato come nell'arte vera, cioè l'artigianato: un quadro che si ammira, una musica che si ascolta, ecc.
(Detto per inciso, nel lavoro intellettuale esiste un preciso e comprensibilissimo veto contro giudizi di questo tipo nel campo intelletttuale, con il risultato estenuante di un'inflazione di aggettivi esangui come interessante o simili, che hanno sostituito spesso gli altri, senza avanzare di un passo in direzione di un qualche apprezzabile realismo.)
Una carne poco cotta, il pesce troppo salato, il vino aspro danno subito una misura operativa. Ma quando non si sa come rimediare e non si vive in un circuito di colleghi, più o meno pronti a trovare una strada, l'unico rimedio è il ricorso ai libri. Ma i libri di cucina sono strani: a me, che li frequento da poco, e senza troppo entusiasmo, sembra che falsino un po' la materialità dell'esperienza.
Intanto, non dicono sempre quello che si vuole sapere, specie per chi, come me, non ha una vera tradizione culinaria alle spalle: molte cose si apprendono intuitivamente o con qualche ricordo pescato qua e là. Poi affollano la mente di immagini più o meno epiche di imprese di grandi cuochi o di poveri sventurati alle prese con quella ricetta. Ma la cucina non è fatta di ricette, non è un insieme di nozioni.
C'è tutta una vita tra una ricetta e un piatto: è la vita di chi prepara quel piatto a partire dalla ricetta, delle persone che lo mangiano, insieme o da sole, delle persone che lo ricreano, che se ne inventano uno diverso. E se un soffritto viene male, si ritenta, si ritenta e si ritenta. Ci vogliono abilità, conoscenza ed esperienza. E una mente aperta a cogliere tutti gli aspetti che fanno di un piatto, qualcosa da mangiare.