di Abbas Kiarostami
Fraintendimenti: quello della giuria cannense, in cerca di una legittimazione che avvalori le scelte di un Palmares come al solito opinabile, e quello degli astanti, in cerca di un evento capace di giustificane l’eccezionalita’ della presenza. Patacche di una divisa sempre uguale, ma comunque capace di farsi spazio tra le righe affollate dei giornali ed i rimorsi di coscienza del lettore.
Solo il pianto di Juliette Binoche in favore del regista detenuto possono spiegare l’interesse verso un film altrimenti destinato al clamore dei salotti virtuali ed all’anonimato delle sale. In un epoca in cui il dolore e’ diventato un valore commerciale si potra’ discutere sul valore di quelle lacrime e sulla loro autenticita’ ma rimane il fatto che “Copia Conforme”, grazie al gesto della sua attrice e’ diventato il manifesto di una battaglia che non gli appartiene a cominciare dal suo regista, beniamino della critica progressista, ma in patria criticato dai colleghi per eccesso di rispetto nei confronti del regime. Un film in cui la cognizione di causa, previa mancata visione dello stesso (ne parla sopratutto chi non l’ha visto), viene sostituita da una serie di pro e contro senza sfumature, e con una visione del mondo a dir poco maniachea.Rimane il fatto che la disquisizione sulle infinite relazioni tra “Copia” ed “Originale”, oppure tra realta’ e finzione, da sempre uno degli argomenti che stanno alla base del cinema del regista iraniano, cosi’ come teorizzata attraverso le parole di presentazione del libro che da il titolo al film e che apre in maniera surreale, per il modo con cui il regista raggela sulle facce dei protagonisti i motivi di quel discorso, una specie di imprimatur che purtroppo non abbandonera’ mai il resto della storia, costringendo gli attori all’interno di una spazio piu’ terorico che reale, rimane un ipotesi non verificata perche’ incapace di tradursi in una storia. L’irrequieta gallerista e lo scanzonato uomo d’arte, con la loro incosistenza sembrano fatti apposta per soddisfare il compiacimento di chi non si deve preoccupare delle vita, ma da soli, e pur con tutta la buona volonta’ nei confronti di un non attore (una costante di Kiarostami), e di un attrice in overdose di nevrosi, non riescono a giustificare la progressione di una vicenda rimasta nella testa di chi l’ha immaginata. Tra i fondali di una Toscana da catalogo, i due personaggi danno vita ad un gioco di specchi e di tira e molla, con cambiamenti di personalita’ed inversioni di tendenza (sono una coppia oppure fanno finta di esserlo?) giustificabili solamente in un film di David Lynch, ed a cui solo la mente dello spettatore piu incline all’astrazione sapra’ dare una parvenza di logica, ma che in sostanza sono destinati a rimanere confusi ed irrisolti. La bellezza degli ambienti e quella degli attori ,cosi’ come l’idea di una forma d’arte che per essere tale deve essere necessariamente criptica, sono le uniche certezze di un opera altrimenti incomprensibile. Per questo film Juliette Binoche e' stata premiata quale migliore attrice del concorso all'ultimo edizione del Festival di Cannes.