Coppa Bernocchi 2015 | Race Chronicles

Creato il 18 settembre 2015 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Ci sono luoghi dall’anima bipolare. La città costruita attorno a certi ponti sui fiumi che sono rimasti intatti dai tempi delle carrozze, l’asfalto accanto al vecchio lastricato tirato a lucido dai copertoni delle automobili. La Coppa Bernocchi è una corsa a due volti. Il clamore di una partenza in centro e il silenzio delle campagne varesine interrotte di tanto in tanto da certe cascine che sono rimaste come erano.
La Valle Olona.
Le sue torbiere.
Acqua che segna il territorio e gli dà il suo volto. Tra i nuvoloni neri all’orizzonte e gli squarci di azzurro di una giornata tra il temporale e il sereno.
LEGNANO
Ore 9.45
Questa è una città strana. Tra i provinciali trafficati e i palazzi degli anni Settanta si nascondono certi angolini ombrosi che sembrano usciti da un romanzo. L’Olona scorre quieto tra i suoi argini di pietra e muschio, una villa antica dal giardino coperto per metà dagli aghi dei suoi abeti secolari si affaccia su una fermata dell’autobus presa d’assalto dai writers. La voce dello speaker si confonde con qualche clacson.
I pullman li hanno parcheggiati lontano, per raggiungerli bisogna percorrere una ciclabile semideserta lungo il fiume dove il profumo di un sugo al pomodoro che qualcuno sta già mescolando per il pranzo si mischia a quello di erba umida, di piante che vanno verso l’autunno. E poi attraversare un parco giochi con un chiosco chiuso come quegli stabilimenti balneari che d’inverno sembrano abbandonati. Due gatti grigi, identici, guardano i pochi passanti con i loro occhi verdi e miagolano dolcemente. Vogliono una carezza veloce e poi restano lì, come silenziosi guardiani del nulla.
Sul piazzale la gente forma crocchi attorno ai pochi pullman che sono già lì. Gli altri stanno arrivando lentamente, parcheggiano tra i curiosi e gli appassionati. Spunta un’occhiata di sole tra le nuvole. Un signore con la sua bici in mano è indeciso su dove dirigersi, un papà fotografa il suo bambino con le ammiraglie e poi, quando qualche ciclista scende, gli spiega del numerino, che serve a capire chi sono e che soprattutto sono in corsa. La gente si fa sempre di più. Di nuovo una nuvola e poi il sole, il vento gioca con il tempo che oggi forse sarà più clemente.
I corridori aggirano il parco, tra luce e ombra, tra le macchine e qualche passante. Al foglio firma i tifosi dei fan club aspettano attaccati alle transenne. Un signore coi baffi tiene ben in vista un cartello di quelli che mettono sulle ammiraglie durante le cronometro. C’è scritto RUFFONI. Meno male che il ciclismo è così. Un posto dove trovarsi, ritrovarsi e alla fine volersi anche un po’ bene. Perché il tifo è questo, in fin dei conti. E come tutte le dimostrazioni d’affetto autentiche è spontaneo, tutto di cuore, improvviso.


SALITA DI SAN PANCRAZIO

Ore 12.30
Senti, questo qui è un posto perfetto per fare le foto!
Non è proprio così ma c’è questo gruppetto di amici, qualcuno in divisa, che parlano del più e del meno seduti su un muretto. Li fotografo. Questo è uno sport dove conta proprio tutto. Scende qualche goccia di pioggia e poi di nuovo il sole. La salita di San Pancrazio è proprio all’inizio del circuito ed è per metà ombreggiata dal bosco. Più in giù, due se ne stanno appoggiati al muro, in un cono di sole. Uno fa un gesto sul petto: sembra che stiano parlando di vecchie maglie. Molteni, forse. O Salvarani. Maglie che una volta avevano una sola scritta e basta.
Altri tempi.
Arriva la macchina di inizio gara. Questo sarebbe il terzo passaggio. Una bambina si è arrampicata con il papà sul terrapieno. Mangiucchia un panino e tiene in mano un cartello con disegnata una borraccia, sopra e sotto c’è scritto GRAZIE e THANK YOU. Messaggi chiari per la corsa, richiesta gentile del souvenir più ambito e pop per eccellenza.
Ci sono ancora gli uomini in fuga. Serghei, quando passa, stacca la mano dal manubrio, mima una pistola. Di lui mi piace l’ottimismo. Essere sempre allegri. In partenza, in corsa, all’arrivo. E’ un personaggio, senza dubbio. Il pubblico lo scoprirà presto.
Tra i fuggitivi e il gruppo c’è Camilo Castiblanco, freelancer per due giorni consecutivi. Poi tutti gli altri, le ammiraglie, il fine corsa. Si aspetta già il prossimo giro. Si fa una scorpacciata. Un signore corpulento risale portando la bici in mano.
Dovresti salire in bicicletta! Gli dicono alcuni amici.
No, no. Meglio di no. Sennò mi confondono con i corridori! Risponde lui.
Ridono tutti.
In cima alla salita, sulla curva, c’è un giardino adibito a tribuna. Un bambino coi nonni mangia panini aspettando i passaggi e guardandoli da una rete a maglie larghe come se fosse su un circuito automobilistico.

LEGNANO
VIALE TOSELLI
Ore 15.30
Il rettilineo d’arrivo è un vialone a tre corsie. Quasi non ci si crede che tra mezz’ora il viavai di macchine e tir verrà interrotto per la corsa. La gente comincia a prendere posto alle transenne. Sul muro di un palazzo all’angolo di una via c’è un graffito con la faccia di Mark Zuckerberg e la scritta: Facebook is watching you. Sotto una fila di biciclette appoggiate.
Tra il traffico si sente la voce dello speaker che dice di Nibali e Trentin che sono in fuga. Tre amici passano e uno dice agli altri: Nibali! Hai sentito? Questo qui che ha menzionato è campione italiano, ha vinto Giro, Tour e Vuelta.
Nibali che al Mondiale ci vuole andare a tutti i costi anche se il percorso non gli si addice, che vuole dire al CT di non lasciarlo a casa. D’altronde sono anni che sappiamo di non avere la punta giusta per vincere la maglia iridata ma è da sempre che ci speriamo fino all’ultimo. Perché il Mondiale è il Mondiale.
Viale Toselli diventa deserto d’improvviso, il semaforo a tre luci continua ad illuminare le sue frecce di verde, di giallo, di rosso. Nessuno passa. Nessuno si ferma.
Ultimo chilometro, flame rouge.
C’è lo scatto di Vincenzo Nibali. Lo sai ancora prima di vederlo spuntare laggiù in fondo, lo sai prima che lo dica lo speaker perché c’è l’urlo della gente.
Nibali poi Finetto e Trentin. Gli altri arrivano quasi tutti in volata, sfilano per forza d’inerzia fino alla fine del rettilineo. C’è un sole pomeridiano che sembra autunno. Fa caldo ma qualche foglia si stacca dagli alberi che vengono su dai marciapiedi.
I pullman se ne vanno in fretta, il piazzale a fianco del podio resta semivuoto. Le transenne spariscono, il traffico riprende. E’ l’ora di punta.
Il ciclismo non ha stadi, tutto appare e scompare nel giro di poche ore. Poi si continua come prima, come tutti i giorni.
Ma se sei capace di tenere tutto stretto nel pugno dei ricordi, allora resterà per sempre. Un vialone a tre corsie rimarrà un rettilineo d’arrivo. Domani e per tutti i giorni che verranno.