Fece molti e lunghi viaggi in Francia e in Spagna, esercitando le più varie professioni e fondando società secrete di teosofi. Fu anche in Italia, ove, nel 1511, per invito del cardinale di Santa Croce, assistette come teologo al concilio scismatico di Pisa; poi fu al servizio del marchese di Monferrato e del duca di Savoia, e nel 1515 dichiarò nell'università di Pavia il Pimandro del cosiddetto Ermete Trismegisto, e si addottorò in leggi e medicina.
Le sue opere principali sono:
De occulta philosophia (1510) e De incertitudine et vanitate scientiarum (1527).
La prima è una strenua difesa della magia, considerata come la più perfetta delle scienze, la più elevata filosofia e la più completa saggezza, e insieme una dimostrazione del suo pieno accordo con la teologia. Secondo la dottrina di A., che rappresenta una specie di teosofia neoplatonico-cristiana, qua e là in accordo con le concezioni di Raimondo Lullo e del Reuchlin, l'universo è composto di tre mondi o sfere: la sfera degli elementi, quella degli astri, e quella degli spiriti, vale a dire il mondo elementare o fisico, il mondo celeste e il mondo intelligibile.
In corrispondenza di questi tre mondi vi sono altrettante magie, la fisica, la celeste e la religiosa, le quali consistono nell'arte di entrare in possesso delle forze di un mondo superiore per dominare il mondo inferiore.
L'altra sua opera è una critica violenta di tutte le scienze del suo tempo, definite un tessuto di errori e di assurdità; vano è pertanto, secondo A., consumare la vita nello studio di esse, anziché seguire la parola di Dio rivelataci nella Scrittura, che è la sola via che possa condurre alla verità. A., che ebbe una notevole notorietà durante la sua vita, fu variamente giudicato dopo la morte: calunniato dai domenicani, che cercarono di togliere ogni importanza alle sue opere inficiate di eresia e che collocarono sulla sua tomba un'epigrafe ferocemente derisoria, egli è tuttavia senza dubbio una figura notevole nella storia della filosofia, assertore di idee non prive di fascino e, in ogni modo, un rappresentante insigne, e talvolta non senza genio, di alcune delle correnti spirituali più importanti di quel tormentato inizio del sec. XVI, in cui l'impulso verso lo studio delle forze misteriose che muovono l'universo, mentre schiudeva la via alle illuminate ricerche della scienza, dava contemporaneamente, sotto la postuma influenza delle superstizioni medievali, origine alle speculazioni più insensate e alle più stolide ricerche.
Una traduzione in tedesco: Magische Schriften fu pubblicata recentemente dal von der Linder (Berlino 1916); e una traduzione francese: La Philosophie occulte, con biografia dell'A., è stata inclusa nella collezione dei Classiques de l'occulte (Parigi, 1910-11).
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Agrippa di Nettesheim, Heinrich Cornelius
Medico, filosofo e astrologo (Colonia 1486 - Grenoble o Lione 1535).
Ebbe una vita agitata e avventurosa: compì numerosi viaggi in Francia e in Spagna, insegnò (1515) nell’univ. di Pavia e, per le sue dottrine magiche e cabalistiche, fu più volte condannato dalla Chiesa.
Le sue opere principali sono De occulta philosophia (composto nel 1510, stampato in parte nel 1531 e, nella versione completa in 3 libri, nel 1533; trad. it. La filosofia occulta o la magia) e De incertitudine et vanitate scientiarum (redatto nel 1526 e stampato nel 1530; trad. it. Della incertitudine e della vanità delle scienze).
La prima è una strenua difesa della magia, considerata la più perfetta delle scienze, la più elevata filosofia e la più completa saggezza, e insieme una dimostrazione del suo pieno accordo con la teologia. Secondo la dottrina di A., che rappresenta una specie di teosofia neoplatonico-cristiana, l’Universo è composto di tre mondi o sfere: la sfera degli elementi, quella degli astri e quella degli spiriti, vale a dire il mondo elementare o fisico, quello celeste e quello intelligibile.
In corrispondenza di questi tre mondi vi sono altrettante magie, la fisica, la celeste e la religiosa, le quali consistono nell’arte di entrare in possesso delle forze di un mondo superiore per dominare il mondo inferiore. La seconda è una critica violenta di tutte le scienze del suo tempo, definite un tessuto di errori e di assurdità; vano è pertanto, secondo A., consumare la vita nello studio di esse, anziché seguire la parola di Dio rivelataci nella Scrittura, che è la sola via che possa condurre alla verità.