Avete mai visto il film Forrest Gump? Se la risposta è no, vi consiglio caldamente di rimediare perché è un film bellissimo. Chi lo ha già visto ricorderà che il protagonista, ad un certo punto della sua vita, viene preso dall’impulso di correre e continua a farlo ininterrottamente per 3 anni, attraversando l’America. La gente gli chiede perché lo faccia ma lui ammette più volte di non saper dare una risposta. Molti cominciano a seguirlo, prendendolo ad esempio.
Per introdurre il tema di oggi, voglio immaginare che Forrest non sia riuscito a smettere di correre perché letteralmente drogato da questa attività.
Ma usciamo dal film e veniamo alla realtà di tutti i giorni.
Vedendo i runner sotto la pioggia, in inverno, viene da pensare “Se lo fanno sarà bello”. Ma anche “Per uscire oggi devono essere matti…”. Quale affermazione è vera? “La prima: correre è un’attività piacevole” dice Eugenio Parati, neurologo dell’Istituto Besta di Milano. “La corsa provoca il rilascio di endorfine nel cervello: si tratta di oppioidi naturali, che danno intense sensazioni di piacere. E il nostro cervello le produce per farci continuare a correre senza fermarci a causa di fame o voglia di…fare figli” dice Parati.
La ragione è semplice: l’uomo primitivo è stato costretto a correre per cacciare. Senza zanne, artigli o veleno, poteva soltanto sfiancare le prede più veloci, capaci di scatti fulminei ma non in grado di mantenerli per lungo tempo. “A questo servono le endorfine: da un lato, limitano le distrazioni emotive nel momento di resistenza intensiva. Dall’altro forniscono un ‘premio’ di piacere, che continua anche a corsa terminata” spiega Parati. Secondo gli studi di Dan Lieberman, biologo dell’evoluzione all’Università di Harvard, e David Raichlen, antropologo dell’Università dell’Arizona, è così possibile che ci siamo evoluti proprio in virtù della nostra capacità di correre a lungo.
E vero che si può diventare drogati di corsa? Quello che accade nel nostro cervello durante la corsa, è anche più complesso. Lo psichiatra americano William Glasser è autore del libro Positive Addiction (la dipendenza positiva): nel testo, analizza l’atteggiamento di molti corridori nei confronti della propria seduta di allenamento. Un atto rituale, al quale molti non avrebbero rinunciato senza difficoltà: motivo, una sensazione di piacere, euforica e intensa, associata all’atto della corsa. Una dipendenza quindi. Ma positiva, perché non invalidante o dannosa come fumo, alcol o stupefacenti.
E con la sorprendente capacità di indurre cambiamenti permanenti (e vantaggiosi) nel nostro cervello. Il testo di Glasser è del 1976. “Da allora abbiamo imparato molto. Oggi sappiamo anche che la corsa favorisce la produzione di un fattore di crescita nervoso, il Bdnf: sostanza che permette la creazione di nuovi neuroni, migliorando l’efficienza delle sinapsi” dice Arcelli. L’opposto, per esempio, di quello che fa la cocaina: che ha una azione fortemente dannosa proprio sull’efficienza del segnale nervoso nel cervello. Una ricerca dell’Università di Cambridge, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Science, ha messo in luce che nelle cavie sottoposte a regolare attività fisica si sviluppa il doppio di nuove cellule cerebrali nell’area dell’ippocampo, regione del cervello fondamentale per la memoria. L’allenamento, quindi, non ha effetti solo sul fisico.
Fonte: Focus. Scoprire e capire il mondo. N. 248 – Giugno 2013.