Corruzione, il fiore all’occhiello del made in Italy

Creato il 16 giugno 2015 da Dfalcicchio

Un prodotto tipico, po’ come per iI peperone di Senise o il pomodoro di Pachino. Tipico della nostra terra, con specifiche che possono variare da regione a regione, ma che comunque resta unito da un filo rosso che lo accomuna da nord a sud.

La corruzione in Italia sta diventando sempre di più un marchio. Non che sia un trend del tutto nuovo, beninteso, basti pensare a quanti film il Made in Italy in questione abbia ispirato, alcuni dei quali bellissimi e che comunque hanno anch’essi contribuito ad accrescerne il mito.

Oggi ci svegliamo con il secondo tempo di «Mafia Capitale» (anche il nome diventa affascinante) lo scandaloso «Mondo di Mezzo» che con il più famoso omonimo di Tolkien ha però davvero poco in comune. Massimo Carminati, nonostante la benda, incute meno timore di un troll forgiato nel fango, di sicuro non ha il fascino di Aragorn e a ben vedere manca di un nome di battaglia altisonante come quello dell’antagonista del libro: “er cecato” il primo, Sauron il secondo. Tutta un’altra storia insomma.

Le ripercussioni però, sono reali e tangibili e stanno scuotendo forte le fondamenta dei palazzi che contano, andando a contagiare anche ambienti che si ritenevano e si professavano immuni al sisma. Se alla fine il Frodo del romanzo riesce a mettere le cose a posto, non sappiamo quando e come lo stesso potrà dirsi della saga italiana.

A breve comincerà il processo e allora c’è da credere ne sapremo di più.

Nel frattempo però a rimetterci è, come al solito in questi casi, l’immagine generale del Paese che ne esce nuovamente intaccata dopo gli scandali legati al MOSE e – con tanto di risonanza mondiale – all’EXPO. Se è vero che questa indagine ha una eco minore se confrontata con quanto successo a Milano, non sono comunque mancati su alcune testate internazionali commenti sarcastici sul vizietto italiano.

Cosa aspettarsi è difficile da dirsi; sperare che estirpata questa pianta il giardino fiorisca indisturbato sembra sinceramente troppo, ma auspicarlo è quantomeno lecito.

I dati circa le ultime elezioni attestano come la disaffezione continui a dilagare in maniera preoccupante, e c’è da ritenere anche scandali simili concausa di simili percentuali.

Una soluzione non c’è, e se potremmo addirittura ammettere che una certa parte di corruzione sia fisiologica in ogni grande Stato, quanto succede nel nostro non è possibile da giustificare neanche alzando l’asticella della tolleranza.

Un’idea però arriva dall’estremo oriente. È risaputo che il Presidente cinese abbia da tempo lanciato una feroce campagna contro la corruzione, piaga che rappresenta un vero e proprio stato nello stato dell’ex Celeste Impero; funzionari di ogni grado avevano negli anni creato pseudo-feudi che gestivano in maniera clientelare, all’ombra della macchina burocratica del partito.

Dopo una serie di arresti senza precedenti che hanno interessato anche personaggi di primissimo piano della Repubblica Popolare, Xin Jinping ha attuato la seconda parte del suo disegno politico: dopo la repressione si è passati alla dissuasione o – sarebbe meglio dire – la minaccia.

Come si farebbe con una scolaresca, sono stati organizzati tour in cui gruppi di funzionari hanno potuto constatare quale sarebbe stato il proprio destino, qualora avessero seguito le orme dei loro predecessori. Girando nelle prigioni di stato, difatti, sono stati messi faccia a faccia con gli ex colleghi oggi reclusi, leggendone sui visi la vergogna, oltre che la pena.

Replicare in Italia sarebbe possibile? Forse no. Troppo brutale. A parte il fatto che poi trovarne qualcuno dentro sarebbe già il primo ostacolo.

Luca Arleo


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