Al ritorno dalla Maremma, rinfrancato dalla leggera ma soddisfatta stanchezza, pensai di fissare su carta quell’incontro…
Erano le nove e trenta del mattino, quando giunsi nei pressi delle Mura di Ponente. Quel territorio si attagliava perfettamente alle persone libere, alla vita, e quel paese ne rappresentava l’emblema, formato sul calco di una nave. Per via di quella spettacolare forma, concedeva all’occhio trasognato l’immagine del viaggio, reale o metaforico, proprio come quello che aveva intrapreso Marcello quando, a bordo delle sue passioni e spinto dal vento di burrasca, salpò verso terre sconosciute. Questa descrizione compendia alla perfezione la vita di Marcello, il suo temperamento impavido e la sua generosità.
Camminavo lungo il ciglio della strada e cercavo di intercettarla. Nel mio raggio visivo si trovavano tre donne che, senza avvedermene, cominciai ad osservare alla ricerca di qualche caratteristica disvelatrice.
La prima, che era a circa trenta metri da me, passeggiava lentamente, dandomi le spalle, sul tratto di lungomare che costeggia il ponte. Dopo pochi istanti, un leggero movimento della testa, verso alcuni fenicotteri in volo, mi mostrò una donna sui cinquant’anni.Istintivamente, pensai che non potesse essere Sofia, dalla cui voce – seppur ascoltata al telefono – le attribuivo poco più di trent’anni.
La mia attenzione si concentrò, quindi, sulle altre due donne.
La seconda donna, era semisdraiata sul prato di un’aiuola all’ombra di un leccio, intenta a leggere un libro. Dopo qualche passo notai, intorno a lei, fastelli di fogli che il leggero vento tentava di sparpagliare. Di tanto in tanto, la giovane donna – la cui età si aggirava tra i trenta e i trentacinque anni – interrompeva la lettura per scrivere…
La bambina indossava capi che richiamavano molto quelli della donna, dai quali si discostavano per ovvie ragioni legate all’età.
L’unico dettaglio che sfuggiva al fuoco dell’occhio, era il cappellino che la bambina stava agitando con la mano destra per salutare quei graziosi volatili, i quali avevano accolto con piacere il suo invito.
Intanto, quasi a cadenza regolare, mi producevo in una semipiroetta, volgendo lo sguardo verso gli altri angoli di quel luogo, da uno dei quali sarebbe potuta apparire qualche altra donna, che avrei eventualmente inserito nel gruppo delle possibili Sofia.
La donna del quadro, circondata da un’aura poetica e romantica, mi trasportava come d’incanto in un’epoca lontana. L’apparente ricercatezza del vestimento, celava il vero intendimento. La raffinatezza dei suoi modi… del suo vivere, mi perveniva come espressione di contrasto in un Paese contrassegnato da ben altri stili di vita, nell’attuale XXI secolo.
La donna tra le carte, invece, che faceva la spola tra la scrittura e la lettura, la percepivo come profondamente impegnata a risolvere il più complicato dei dilemmi… anche quella immagine, era decisamente poco comune.
Entrambe mi trasmettevano una serenità rara, quella che affiora nei momenti duri della vita, proprio quando sei in bilico e il presagio di infausti epiloghi si fa pressante; allora trattieni il fiato, ancor più di quanto non faccia il tuo cuore, e guardi avanti, guardi nel cielo dove vedi stagliarsi, accanto a quelle due, altre figure immense, pronte a tenderti la mano. La visione di quelle due donne sconosciute – dei loro gesti – mi aveva permesso di aggiungere un altro passo alla definizione della parola “altruismo”.
Ricordo la prima volta che feci un’operazione simile – arricchire la definizione di un termine. All’epoca frequentavo le superiori e durante una lezione mi sorpresi, e mi sorpresero, “imbambolato” a fissare il vuoto.In realtà ero stato semplicemente rapito da una parola, la quale mi stava conducendo per mano verso la sua origine. Il lemma era “contemplazione” e forse a buon diritto rimasi… imbambolato.
Da allora altre parole hanno avuto su di me lo stesso effetto, lo stesso fascino, quasi una malìa. Oggidì, quando accade, mi lascio condurre per mano nei meandri della loro genesi, sperando che nessuno interrompa quel piacevole momento. Questo fenomeno ha avuto un’evoluzione, in breve si è diffuso in tutti i miei spazi, evidenziando anche le sue preferenze. Viene a farmi visita soprattutto quando sto leggendo un libro, e non è la temporanea riflessione che ti porta a distogliere lo sguardo dal testo, bensì un vero viaggio immaginario, che inizia proprio seguendo una parola… ma non sai quando avrà fine. Quando il viaggio è troppo lungo, ho bisogno di prendere appunti, di segnare sulla carta i punti di riferimento onde evitare di smarrire la strada del ritorno. Nel tempo, alcune di quelle contemplazioni sono diventate racconti o poesie.
Erano intanto trascorsi tre giorni; il giorno dopo, come tutti i giovedì, avrei incontrato i miei amici in via Caracciolo per la lettura del prossimo messaggio in bottiglia. Avevo poco tempo, quindi, per trascrivere il messaggio del giovedì precedente il quale, grazie al permesso di tutti, aveva ceduto spazio a quella lettera “urgente”, indirizzata al ministro Fornero…
Riporto, quindi, il messaggio n. 4d.
Corsa contro il tempo
Come già detto, quei lavoratori scelsero l’alternativa della rivendicazione autonoma. A condizionare la scelta fu, senza alcun dubbio, il tempo a disposizione. Non sapevano esattamente quanto tempo li separava dalla catastrofe ma, in ogni caso, era irrimediabilmente poco.
Anche una sentenza favorevole sarebbe arrivata troppo tardi. Quei potenziali acquirenti, disposti ad assumerli, avrebbero potuto cambiare idea per svariate ragioni, e un tale rischio non potevamo assolutamente correre. La rabbia era tantissima, e di tanto in tanto qualcuno riproponeva i sistemi smantellati con la ragione, prospettando di ricorrere alle maniere forti al fine di imporre al commissario straordinario di rispondere ai mittenti di quella preziosa lettera. In fondo, sarebbe bastata una semplice risposta del dottor Notturni al Gruppo General Building-Italia, il quale ci avrebbe spalancato le porte verso nuovi orizzonti di lavoro. Marcello esortava questi colleghi più impetuosi a contenere la rabbia e a farla convogliare in azioni pacifiche o, quantomeno, a sostenere gli altri in quest’ultimo corpo a corpo; ma tale espressione non è molto pertinente, dato che il commissario era fuori dal nostro raggio visivo ormai da circa sette mesi.
Decisero di raccontare questa vicenda a tutti coloro che in Italia, a vario titolo, si sono sempre occupati di lavoratori in pericolo. In quel frangente furono tutti d’accordo nell’eleggere Marcello quale traduttore in forma scritta dei loro pensieri e lui, in linea con le aspettative, non li deluse.
Trascorsa una settimana, durante la quale non avevano ricevuto alcuna risposta, Marcello riprende carta e penna e redige la seconda lettera.
La seconda lettera (Argomentazione della missiva del 15 giugno 2010) viene spedita tramite e-mail e fax in data 23 giugno 2010.
Oggetto: “Argomentazione della missiva inviata in data 15 giugno 2010”.
La lettera non è campata in aria ma si basa su solide fondamenta. Queste ultime sono in mano nostra, ma non solo. Ne citiamo, in calce, solo alcune e di queste, fra l’altro, solo i passi salienti. Produrremo tutta la documentazione probante, anche nelle sedi deputate a far luce, a sviscerare la vicenda ed in esse, interrogato e/o intervistato, ogni singolo dipendente rilascerà le sue dichiarazioni. Quanto si scrive, sia per voi già più che sufficiente per muovervi a giusta ed esauriente replica.
Se la prima missiva non ha sortito l’effetto da noi desiderato e cioè, quantomeno, un immediato contatto con lavoratori in pena per colpa “altrui”, la seconda voglia esprimere il nostro risentimento, il nostro rammarico, il nostro deploro per un comportamento di sufficienza col quale si affronta uno dei problemi attuali più gravi, la perdita del lavoro.
La società “Gruppo General Building-Italia” in una lettera (Milano, lì 3 maggio 2010) inviata al ministro dello Sviluppo economico e al ministro della Funzione pubblica (on. Brunetta) nonché, per conoscenza al dottor Notturni, mette in evidenza diversi punti di cui se ne riportano alcuni passi fondamentali.
Al punto 8 sono scritte tali testuali parole:
“Nel frattempo e nonostante ripetute diffide la Amministrazione Straordinaria non ha versato alla nostra Società alcuna somma, né per il canone né per le spese, neppure con riferimento ai (pur ridotti) crediti ammessi in prededuzione, che sono comunque dovuti indipendentemente dall’esito del procedimento di opposizione, contemporaneamente continuando a rifiutare la restituzione del nostro ramo d’azienda, così impedendoci di ricommercializzare affittandolo a terzi interessati e con i quali siamo in contatto diretto.
A tal riguardo si fa presente che alcuni operatori sarebbero subentrati dichiarando di essere anche disponibili a valutare l’assunzione, in tutto o in parte, del personale della Dime Falegna; nonostante l’evidente convenienza di tale situazione anche per i lavoratori, il Commissario Straordinario persiste nel proprio atteggiamento negativo (o quantomeno omissivo)”.
Nel penultimo capoverso si legge: “Non riteniamo necessario dilungarci nell’illustrare come la perdurante inerzia (quantomeno) della Amministrazione Straordinaria, che si protrae ormai da anni senza alcun utile risultato, anche indipendentemente dai gravissimi danni che ha arrecato e continua ad arrecare e tralasciando per ora di evidenziare eventuali profili di illegittimità anche sotto diversi aspetti, sia assolutamente in contrasto anche con il generale principio di buona amministrazione sancito anche dall’articolo 97 della Costituzione”.
Allegati: missiva del 15 giugno 2010.
Nola, 22 giugno 2010. Dipendenti della Dime Falegna S.p.a. in A.S.
Tale messaggio fu inviato agli stessi destinatari della prima missiva.
Marcello passa in rassegna tutti gli avvenimenti, a partire dal giorno di quel sofferto rientro – 11 maggio 2009 – fino a quello della nefasta notizia dell’imminente perdita del posto di lavoro – 15 giugno 2010 – ma anche, a volte, facendo rapidi voli nel passato e nel futuro.
Mentre Marcello è immerso in questi viaggi temporali, squilla il suo telefono cellulare. È Sofia la quale, dopo avergli dato l’input per combattere l’ultima avversità, era crollata e non riusciva più a rialzarsi.
Il diritto di vivere insieme, Sofia e Marcello se lo erano dovuti conquistare, lottando strenuamente contro i pregiudizi sociali; sarà stato questo il motivo che li ha sorretti, facendoli divenire sprezzanti del pericolo incombente.
In quale modo avrebbero potuto prevedere perfino la mancanza di volontà, degli amministratori aziendali, di mettere in pratica un’offerta da parte di imprenditori, disposti a rilevare la Dime Falegna?
Bisogna ricordare che, oltretutto, non si trattava di una piccola azienda, ma bensì di una grande società, ben radicata in tutto il territorio nazionale. Proprio questa sua caratteristica strutturale le era valsa quella offerta e non solo, come apprendemmo in seguito. Venimmo infatti a conoscenza, nei giorni successivi, che anche altri imprenditori avevano manifestato formalmente le loro offerte di acquisto ma che, sistematicamente e paradossalmente, si vedevano rifiutate da parte dei rappresentanti dell’amministrazione straordinaria.
La sensazione era quella di entrare, parola dopo parola, nella vita di quei lavoratori…
Alla prossima.