U scandalu, spiego, era il fracasso prodotto dagli enormi mucchi di ferraglia che i ragazzi trascinavano per le vie del loro quartiere il giorno della Resurrezione di Cristo. La raccolta del ferro cominciava almeno un mese prima del giorno di Pasqua. I ragazzi percorrevano la città e le campagne circostanti alla ricerca di qualsiasi pezzo di metallo che potesse fare rumore: ali di automobili, portiere, secchi abbandonati, persino il “cadinu”, qualcosa di più capiente del classico vaso da notte. Di volta in volta il bottino veniva portato in un luogo convenuto, nascosto, nel nostro caso sotto un albero frondoso, poi ricoperto di rami per non correre il rischio che quelli degli altri quartieri, della Marina, di Toga, di San Ghjisè o della Cittadella, lo rubassero. Non si era mai sentito di furti di scandalu ma la prudenza non era mai troppa. Ogni elemento veniva legato agli altri con funicelle, corde o pezzi di spago in modo che il tutto formasse una sorta di drago metallico che i ragazzacci della nostra banda potessero trascinare sul duro lastricato.
Alle dieci in punto, il via. I mostri di ferro di tutta la città cominciavano contemporaneamente il loro lungo e sofferto percorso rumoroso, oltrepassando le curve strette, i restringimenti determinati dai paracarri, le macchine parcheggiate. Le funicelle cominciavano allora a cedere, le montagne a perdere i pezzi, a erodersi fino a diventare all’arrivo delle ridicole collinette.
L’ultimo scandalu data del 1964. Oggi, non rimane più nulla di tutto ciò, o forse sì, in qualche fotografia dimenticata in soffitta.
Lino Soddu