La vicenda, che tiene in sospeso 130mila dipendenti delle scuole, 30mila della Sanità ed 80mila delle Autonomie territoriali, non è ancora giunta a conclusione, in attesa di pronunce da parte di Giudici di Merito italiani.
All'orgine delle controversie che hanno orginato l'ordinanza Papalia (causa C-50/13) e la sentenza Carratù (Causa C-361/12), entrambe del 12 dicembre 2013, vi è la violazione della Direttiva 70/1999 sul lavoro pubblico temporaneo, norma europea per la prevenzione dell'abuso di contratti precari nelle Pubbliche Amministrazioni.
In particolare, la normativa impedisce al legislatore nazionale di adottare provvedimenti legislativi che rimborsino con un semplice risarcimento, il danno sofferto da un lavoratore pubblico impiegato con una serie di contratti a tempo determinato in luogo di un unico contratto a tempo indeterminato. In Italia, infatti, il lavoratore danneggiato non solo non può fare in modo che la sua condizione precaria venga trasformata in un impiego fisso, ma deve per giunta dimostrare (attenzione, sempre per ottenere il solo rimborso dei danni) di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego.
I Giudici della Corte hanno perciò stabilito che la legge italiana (in questo caso l'art. 36, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001) garantisce ai dipendenti pubblici un trattamento peggiore di quello stabilito dalle norme europee e segnato un importante precedente giudiziario contro la precarizzazione del lavoro pubblico.
Si attendono ancora sviluppi giurisprudenziali dalla vicenda: spetta infatti ai Giudici di merito italiani aprire spazi a concrete prospettive di tutela per i precari della P.A dando completa ed effettiva applicazione alle recenti pronunce della Corte di Giustizia Ue(Per approfondimenti sulla normativa e sulle sentenze, vedi questo articolo su Leggi Oggi)