Niente verbosi dialoghi, confronti da lettino dell’analista, ma solo due personaggi, interpretati da Ben Affleck e Olga Kurylenko (di una bellezza tale da ferire) che, come “cose gettate nel mondo” ci raccontano l’ascesa e il declino del loro umanissimo amore e dell’altrettanto tangibile dolore.
È miracoloso come in To the wonder si riesca a conciliare lo scherzo con l’abbattimento, lo stupore con la rassegnazione: la camera indugia tanto sui corpi, sui limiti tra pelle e pelle, e poi vola via a rappresentare campi sterminati e cieli sereni. Ci troviamo a metà strada fra impressionismo e astrattismo e i grandangoli, anche insistiti, si sciolgono in campi lunghi e lunghissimi e da lì rinascono. Così come i protagonisti, che, aspirando a una Liebestod di ascendenza romantica, non fanno altro che aiutarsi a vicenda a scivolare nel dirupo della perdita dell’Uno.
Parigi, l’Oklahoma, Mont Saint-Michel i luoghi di questa vera e propria epica dei nostri tempi, che Malick porta ancora avanti con coraggio e incanto, in un film dalla bellezza commovente.
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