Così abbiamo ognuno guardato con ansia il silenzio d...
Da Lostilelibero
Così
abbiamo ognuno guardato con ansia il silenzio dell’altro.
R.
M. Rilke
Conosco
i pericoli e le contraddizioni a cui mi espone questo divertissement critico. Eppure talvolta vale anche la pena di fare
una brutta figura, come un fanciullo vivace che non si cura delle ammonizioni
dei grandi e continua stupidamente a bruciarsi pur avendo già conosciuto le
qualità di quel fuoco ammaliante.
Ma
come: - sei in rete eppure, come un nostalgico nipotino di de Maistre, ti
appresti a criticare ciò che ti dà ospitalità, che ti consente di far conoscere
all’ecumene il tuo irrilevante pensiero? -.
In
fondo oggi non sei tu a scegliere internet, come tutto ciò a cui vieni
implicitamente obbligato – ma per il tuo bene, ci mancherebbe altro! –, è lui
che sceglie te. Un po’ come quella voglia che di tanto in tanto ti assale,
smorzandosi subito dopo nell’impossibilità di realizzazione, di astrarsi dall’umanità,
di lasciarla a sé stessa, al suo allegro disfacimento, alle sue noie, ai suoi
interessi, alle proprie occupazioni e al suo puzzo santificato. La morale
dell’umanità è semplice da spiegare, eppure non lascia attoniti gli uomini, non
l’indigna ancora abbastanza: credendo di farti peraltro un piacere, la società
crea nuovi bisogni che finalmente puoi delegare ad altri, ciò in cui risiede il
veicolo verso ogni “buona” socializzazione; essa realizza sempre nuove
connessioni per scongiurare l’isolamento, non ti lascia solo, né indietro. Come
una spugna che vorrebbe assorbirti… l’umanità degli uomini “buoni e giusti” ti
perseguita!
Nessun
regime politico ha sinora cambiato la vita degli uomini più di un’innovazione
tecnologica, pensiamo ad esempio all’automobile o all’aereo, al frigorifero o
alla televisione. Internet non fa certo eccezione, si potrebbe anzi aggiungere
che esso porti a compimento quella modernità fin de siécle, che vista dal nostro punto di osservazione sembra
invece una normalità persino augurabile. Se quindi L’uomo della folla di Poe poteva essere il prototipo della
modernità decadente, il convalescente che aspira a tutti i germi e ad ogni
effluvio della vita per curiosità, oggi persino quel desiderio di cosmopolitismo
viene a mancare, stritolato da una velocità che non permette nemmeno più di
contemplare l’informe folla spersonalizzata dalla vetrina di un cafè.
Per
Baudelaire quella modernità poteva sì essere “il transitorio, il fuggitivo, il contingente”, ma era pur sempre un
transitorio materico, in carne ed ossa, una precarietà a cui si poteva correre
dietro, a portata di velocità umana, sempre in attesa del conseguente spleen in cui ogni individuo “sano”
poteva infine riconciliarsi con sé stesso.
Oggi internet ha definitivamente
chiuso i conti con l’umano ed al contempo ha reso quel moderno, e tutto sommato
familiare “transitorio”, lo stesso tropo dell’assenza di attività, occultatasi
ormai nei labirinti digitali della ragnatela worldwide.
Se
il tipo moderno di blasè, per dirla
con Simmel: “consiste nell’attutimento
della sensibilità rispetto alle differenze fra le cose per cui tutto appare opaco e uniforme”, oggi
non è nemmeno più possibile relazionarsi coi propri simili intesi come anonima
massa senza nome (una bella ironia il social
network… il silenzio fa paura ed il parlare diventa status symbol, purché non si abbia assolutamente niente da dire).
Un
uomo che, paradossalmente, ha rifiutato ogni qualsivoglia possibilità di
autentica comunicazione. Il flatus vocis
nobilitato a logos-pensiero!
L’ominide
online (luogo per eccellenza della parità e della democrazia), trova quindi che
il suo senso profondo risiede esclusivamente nella capacità di connessione; per
stare in piedi il nulla ha d’altronde bisogno di una velocità centripeta che ne
sostenga il vuoto. Il virtuale, quasi per inerzia, puntella così il nihil esistenziale attraverso
un’infinità di link. E’ la cultura dell’istante che appassisce dopo il clic: se
non sei in rete non sei nessuno!
Internet
è quindi solo l’ennesimo rimedio che i malriusciti hanno posto come schermo per
non abbandonarsi all’ormai patologica paura di restare soli. La solitudine di
un uomo che ha rinunciato, per viltà, anche alla propria sgradevole compagnia.
A
ben vedere, la perfetta metafora del postmoderno “liquido”: arriva a tutti ed è alla portata di tutti, non richiede
sforzo e ti fa per sopramercato pure compagnia… la ricetta insomma di ogni
successo garantito.
Poveri
noi… e povero sub-cesso.