Cosa avevo perduto?

Da Foscasensi @foscasensi

Finora mi sono molto adoperata per tutto quello che è successo o che poi non è successo, ho seguito la mia vita come un cane da caccia, ho avuto ragione e torto e ho fatto peso come dovessi ancora premere sulla massa delle cose già decise. Poi una sera ero in giro ed ero tanto stanca che galleggiavano i palazzi. E volava lungo i muri un fuocherello che avevo dimenticato, era la proposta delle cose sensibili a noi uomini, era la nostra più spirituale capacità di distrazione, quella dei deboli, dei folli, dei malati, dei figli. Così ogni tenda parlava dei suoi tessuti, ogni macchina era la materia metallica, il calore e la gomma dura degli pneumatici e delle rifiniture, le donne si agitavano appena dietro la pellicola del fondotinta, i corpi erano un ingombro armonioso dentro le stoffe. Era molto chiaro che le cose per gli uomini hanno un senso per il loro concetto e per la loro funzione. Una specie di investitura. Altrimenti non avrei potuto spiegarmi come facessero le pietre a essere sostegni e masse disciplinate di muri e chiese e non creature portate su a pezzi dalle viscere della terra. O come si potesse piegare il ferro in tubi e in lamine o volere gli alberi crescere lungo le file delle vie e le sagome dei giardini. Cosa avevo perduto? Mi sono seduta su una panchina tinta ruggine, accanto a uno scivolo. I gabbiani urlavano a ovest, agitati dal tramonto e nell’aria c’era l’odore di un seme che non avevo mai sentito. Sì, mi sono seduta e ho saputo che mi sarei distratta ancora e ancora. Perché là dove non sono ora che esercito la parola esiste un luogo intatto, esistono tutte le cose del mondo e il loro silenzio, al quale tornare.


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