Al momento della cattura era riuscito a infilare nella tasca del suo cappotto un manoscritto, un libro cui stava lavorando. Ma una volta entrato al campo questo manoscritto gli fu sottratto. E forse questa fu la sua salvezza.
Il giovane neurologo era Viktor Frankl, fondatore della logoterapia, autore di libri tradotti in tutto il mondo, e diffusore di una analisi esistenziale come cura del sé.
La deportazione come analisi di sé.
L’esperienza al campo fu drammatica eppure, ricorda Frankl, c’era in lui anche una forma di curiosità verso l’orrore, verso la paura e verso le sue stesse sensazioni. Si ammalò di tifo e ciò nonostante registrava ogni accadimento a sé e al mondo circostante con una lucidità impressionante. Questa esperienza è raccontata nel libro “Uno psicologo nel Lager” (in tedesco il titolo dice molto di più: “… nonostante tutto dire si alla vita”).
Negli anni nel campo aveva visto morire tanti compagni di baracca. Uomini che avevano rinunciato a sperare, uomini che erano morti, e non per le camere a gas, ma per l’abbandono di sé stessi. Uomini, scrive Frankl, che fuori dal campo, non avevano più nulla o non trovavano più nulla che potesse dare loro anche solo un briciolo di forza per resistere a tanto orrore. Lui, invece, aveva consapevolmente iniziato a memorizzare il suo manoscritto sequestrato con lo scopo, una volta finito tutto, di riscriverlo. Fu questa sua volontà, così concreta a salvarlo. Frankl non sognava di essere libero. Frankl sognava di scrivere un libro e per questo ogni giorno lo memorizzava. Era il libro il suo obiettivo, non una cosa astratta come la felicità o la libertà. Come lui ne sopravvissero altri, non necessariamente quelli più forti fisicamente. Ma quelli che avevano come lui uno scopo molto concreto: rivedere la moglie, i figli, la famiglia, riaprire la propria officina o il negozio. O, come lui, scrivere un libro.
Un uomo che è divenuto consapevole della responsabilità che ha di fronte a un’opera in fieri o di fronte a una persona amata che lo aspetta, un tale uomo non sarà mai in grado di buttare via la propria vita.
Viktor Frankl, la filosofia del senso e il management.
Io ho scoperto Viktor Frankl a una scuola estiva di management (Malik Management Summer School). Il suo libro “Alla ricerca di un significato nella vita” era posto tra la bibliografia consigliata. Per questo ne parlo qui, in questo blog, perché davvero nella nostra vita, come nel nostro lavoro, le parole di Frankl hanno ancora oggi una potente efficacia, se siamo disposti ad ascoltarle.
Il libro parla del fallimento come condizione di partenza. Descrive l’ambiente che ci condiziona come trampolino per essere noi e diversi dal noi originario. La possibilità del cambiamento. Le azioni che diventano scopo. L’essere contrapposto al poter essere. E il senso per qualcosa, racchiuso dentro ogni nostra azione.
Scriveva Frankl negli anni Novanta:
Viviamo in un’epoca in cui non ci sono più valori che ti dicono come fare le cose, né una tradizione che ti dica cosa fare e ci troviamo persi perché non sappiamo più cosa vogliamo. La questione, attuale, soprattutto oggi è non di cosa vivere, ma per cosa.
Oggi è il giorno della memoria e per questo scrivo di Viktor Frankl e lo consiglio come lettura. Aiuta a riflettere in profondità sul contenuto delle nostre azioni.
Anche nelle cose piccole e minute. Nemmeno un gesto dovrebbero essere sprecato. Le parole non contano. È solo nell’azione che diamo una risposta vera alle parole e ci assumiamo la nostra responsabilità (in tedesco Ver-Antwotung, dove antworten significa rispondere, a allora la responsabilità diventa una risposta alle domande della vita)
Non entro nelle questioni esistenziali, ma penso, molto più banalmente al lavoro, dove troppe cose accadono senza che ci si fermi a pensare al senso che hanno: anche noi quante cose inutili facciamo, quanto tempo sprechiamo, quanti obiettivi astratti ci riempiono la testa, e lasciano ferme le mani, a riposo, senza attività. Quante riunioni senza senso, quanti processi dentro l’organizzazione senza senso, quanti report senza senso, quante relazioni, umane, senza senso. E visto che mi occupo di eventi, cosi effimeri, volatili, intangibili: ebbene quanti eventi senza senso vengono messi in scena, per riempire cosa? Di quali contenuti si fanno portatori? E se uno scopo c’è, agiamo coerentemente sempre in quella direzione?
L’opera incompiuta
Non sempre è facile riconoscere se la strada è quella giusta. Forse una storia, suggerita da Frankl, ci può aiutare:
Uno scultore riceve un incarico. Deve realizzare un cavallo di legno. Deve cioè prendere la materia e plasmarla. Il committente, però, non gli ha indicato la data di consegna, dice solo: “Passerò”. E così lo scultore si mette al lavoro, non sapendo se magari addirittura il committente intenda passare già dopo solo qualche ora di lavoro.
Per questo motivo, fin dal primo taglio è costretto, per evitare che l’opera ne risulti monca, a darvi il senso di un cavallo. Ogni intervento deve andare in quella direzione. Nessun momento, nessuna limatura, nessun intaglio può essere sprecato. Ogni azione sulla materia deve essere già “cavallo”.
Vi lascio con questa storia, che a me piace molto.
Se queste riflessioni che legano psicologia, filosofia e management vi interessano, ecco alcuni spunti per approfondire:
Viktor Frankl:
V. Frankl, Uno psicologo nel lager
V. Frank, Alla ricerca di un significato della vita
Video: Why believe in others (V. Frankl, 1972)
Management e Viktor Frankl:
F. Malik, Management: The essence of craft
Altri libri utili all’event management: