Cosa fare per la cultura?

Da Marcofre

Qualche giorno fa su Twitter Doppiozero si chiedeva: cosa fare per la cultura?
Non ho la risposta, mi spiace, ma forse posso ricordare e soprattutto ricordarmi cosa la cultura può fare per l’individuo. Se questi decide di prendere in pugno le redini della propria vita, e solo in quel caso.

Partiamo da qui, e sgomberiamo il campo da un equivoco.

Esiste l’idea che la cultura (o la Rete; o il bel tempo), siano in grado di agire magicamente regalando progresso e orizzonti di gloria. Basta sedersi, e attendere.
In realtà è sufficiente ricordare come alcuni gerarchi nazisti avessero non di rado una grande cultura; questo non impediva loro di uccidere o sterminare. Lo scrivo per ribadire che la cultura non risparmia dall’odio per l’altro. Anche se ammiro Leonardo da Vinci, posso ordinare di fare fuoco su una scuola.

Prima considerazione dunque: la cultura non guarisce dall’idiozia, dal disprezzo. Non è una panacea. Questa sorta di “guasto” si verifica perché il singolo decide, è libero: e spesso decide male. Decide di non decidere. Decide di ridere e sghignazzare per tutta la vita, di tutto, tanto sono tutti uguali.

Forse ci sono due modi di intendere la cultura, che portano a risultati differenti: ora disastrosi, ora magnifici.
Esiste la cultura buona per i salotti, per conversare amabilmente a tavola tra cristalli di Boemia e tovaglie di Fiandra; e un minuto dopo ordinare l’attacco a un ghetto, o a Dubrovnik.

Poi ne esiste un’altra, che si muove sui medesimi binari della prima. Come quella, vive di letture, quadri, musica classica e lirica, eccetera eccetera. Però l’esito è differente. E succede solo perché il singolo accetta di mettersi in discussione. Dice “Sì”, ed è un’affermazione completa, che alla lunga lo porterà a rivoltare sé stesso. Qualora accada, la cultura è davvero occasione di cambiamento.

Per alcuni la cultura è un abito: si indossa, se ne fa sfoggio in certe occasioni, e poi lo si ripone.

Per altri è un mezzo per affrontare le sfide della vita, la complessità di questo mondo.
Ecco perché succede che persone semplici, sono in grado di dare lezioni di civiltà (di cultura) che non ci aspetteremmo mai da loro.

Non bastano biblioteche aperte sino a tardi, o scuole di ottimo livello. Alla fine, avremo sempre a che fare con quella mina vagante che è l’individuo, e le sue scelte. La sua libertà. Se costui sceglie davvero la cultura, sarà una persona almeno capace di ascoltare. Non è roba da poco: basta fare un giro in centro, al bar o in metropolitana, nella sala d’attesa di una stazione ferroviaria o nella fila all’ufficio postale per incontrare uomini e donne che tirano a campare, e non ascoltano nulla.

Qualcuno chiederà: “Ma come, si deve leggere tanto, ci si deve fare una cultura, solo per arrivare ad ascoltare? Mia nonna era semi-analfabeta e lo ha sempre fatto”.
Già: in fondo il vero ascolto non ha bisogno di libri o degli affreschi di Giotto. Forse l’essenziale è lì, nell’ascolto: il resto non fa altro che affinare l’orecchio.


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