Qualche giorno fa mi sono incontrato con la scrittrice Erica Vagliengo, in vacanza da queste parti. Si è parlato di varie cose, sino a toccare il problema delle schede per un romanzo. Confesso che io non ne so molto, non mi sono mai cimentato con una faccenda del genere.
In realtà l’ho fatto, anni fa; sì ho scritto un romanzo. Roba da schiattare dalle risate, ma non perché fosse umoristico. Di quella roba non è mai approdato niente in libreria, e una ragione ci sarà, vero? Non è stato il complotto degli editori: erano storie brutte, e basta.
Procedevo in questo modo. Iniziavo, procedevo, finivo.
Niente di più sbagliato.
La faccenda non mi riguarderà mai (non credo che scriverò un romanzo, è al di là delle mie forze), eppure ho cercato di immaginare come potrebbero essere le schede di un romanzo. O meglio: come il processo propedeutico al romanzo possa essere messo in atto.
Io proverei a fare qualcosa del genere.
Non mi fisserei su titolo, incipit, programma di videoscrittura. Quelli sono dei dettagli e un romanzo spesso porta via degli anni (lo riscrivo: ANNI. Se avete scritto un romanzo di 800 pagine in cinque settimane non siete un genio. Non vi dico cosa siete in realtà, ma NON siete un genio). Perciò è abbastanza inutile fissarsi con questo genere di cose. Molti autori hanno speso due, tre anni su una storia per poi gettare via tutto e ricominciare da capo. Oppure l’hanno stravolta. L’essenziale è comprendere che occorre essere disponibili a tutto, e ficcarsi in testa una volta per tutte che noi siamo al servizio della storia, e non viceversa.
Se proprio avete un incipit o una scena forte, bene, ma fate attenzione che non si trasformi da elemento della storia, a divinità capricciosa e assoluta. Spesso è necessario non solo scrivere, o correggere, bensì distruggere.
Qualora non siate disposti a ghigliottinare, sghignazzando degli appelli e delle suppliche, ci sono forte possibilità che non sarete mai un buon autore.
Quello che è indispensabile comprendere in fretta è che se un racconto è un lavoro doloroso, un romanzo è un inferno. L’unico modo per domare l’inferno è possedere disciplina, proprio come se il nostro compito fosse edificare un palazzo di tre piani.
Non possiamo certo permetterci di procedere a occhio, o di essere superficiali, o di lavorare nel cantiere se e quando ne abbiamo voglia.
Un palazzo costruito in questa maniera crollerà, e finiremo davanti a un giudice per giustificarci.
Purtroppo non accade lo stesso nell’editoria, e infatti viviamo tra macerie, e assassini che si fanno chiamare “scrittori”.
Dovremo imparare a fermarci. Vale a dire a fare il punto della situazione. In fondo è un cantiere, ed è bene verificare a che punto si è, quanto lavoro è stato svolto, e come, prima di balzare avanti. Niente fretta, mai.
Togliamoci dalla testa che il mondo là fuori sia in attesa della nostra parola; attende il sole se siamo a luglio, la neve se siamo a gennaio. E basta. Evitiamo anche di invocare l’urgenza narrativa, e argomenti analoghi per giustificare la fretta di scrivere.
L’unica urgenza che conosco, e che meriti accoglienza, è quella che conduce al pronto soccorso.