Repubblica ha pubblicato oggi la prima parte di una lunga intervista al presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi sulla morte di Giulio Regeni, il dottorando italiano trovato morto al Cairo all’inizio di febbraio. La seconda parte dell’intervista, che è stata fatta al Cairo dal direttore di Repubblica Mario Calabresi e dal vicedirettore Gianluca Di Feo, sarà pubblicata domani: il fatto che l’intervista sia stata divisa in due parti suggerisce che non contenga alcuna informazione rilevante sul caso Regeni. Questa è tuttavia la prima volta che al Sisi parla direttamente di quanto successo a Regeni e delle accuse che sono state rivolte al suo regime riguardo a un suo possibile coinvolgimento nel suo assassinio.
Al Sisi, come prevedibile, ha risposto alle domande di Calabresi e Di Feo in maniera molto vaga, senza mai parlare direttamente dei tentativi di depistaggio compiuti dagli investigatori egiziani nelle ultime settimane e della reticenza delle autorità locali a collaborare con gli italiani. Al Sisi si è limitato a frasi di circostanza sulle indagini, per esempio quella molto ripresa oggi dai siti di news: «Non ci fermeremo finché non sarà stata raggiunta la verità sulla fine di Giulio Regeni». Al Sisi ha parlato di quanto successo a Regeni come di una cosa inaccettabile – «Ciò che è accaduto è terribile e inaccettabile, non ci appartiene e sconvolge non solo il governo ma tutto il popolo egiziano» – evitando di citare i molti casi di sequestri di persona e tortura compiuti dalle forze di sicurezza sotto il suo regime, soprattutto contro cittadini egiziani, e di cui il suo governo è ritenuto responsabile.
Nell’intervista data a Repubblica, al Sisi ha praticamente accusato dell’omicidio di Regeni i suoi nemici: quelli che vogliono isolare l’Egitto e colpire l’economia locale, quelli che si oppongono alla «grande guerra che l’Egitto sta conducendo contro le forze dell’estremismo e del terrorismo» e quelli che vogliono rovinare i rinnovati rapporti di amicizia con il governo italiano di Matteo Renzi. Ha detto:
«Sulla morte di Regeni ci sono molti interrogativi che dobbiamo porci: il primo è sulla tempistica, in particolare sulla scoperta del corpo. Perché è accaduta durante la visita di una delegazione italiana di imprenditori con il ministro dello Sviluppo economico, che erano al Cairo per rafforzare la nostra cooperazione? Perché è accaduto mentre le relazioni tra noi hanno raggiunto un livello senza precedenti dal punto di vista economico e politico? Un’altra domanda inevitabile è capire chi ha interesse a boicottare o bloccare l’ampia collaborazione tra Italia e Egitto sul fronte dell’energia e della sicurezza, in una fase di turbolenza in tutta la regione.»
Da quando è diventato presidente, al Sisi ha instaurato un regime molto duro contro tutti i suoi oppositori, soprattutto contro i Fratelli Musulmani, il gruppo politico-religioso del deposto presidente Mohammed Morsi contro cui l’esercito guidato da al Sisi fece un colpo di stato nel luglio del 2013. Al Sisi ha associato spesso i suoi oppositori ai terroristi: ha anche giustificato misure straordinarie – come decine di arresti arbitrari – usando l’argomento del terrorismo internazionale (l’Egitto ha subìto diversi attacchi terroristici negli ultimi mesi, per lo più compiuti dalla provincia del Sinai dello Stato Islamico). Stando alle novità emerse finora dalle indagini, sembra però più che improbabile che Regeni sia stato ucciso da un gruppo terroristico. Sembra invece molto più probabile che già settimane prima della sua morte fosse stato individuato dalle autorità egiziane come un soggetto da tenere d’occhio, a causa della sua attività di ricerca sui sindacati egiziani, e che sia stato sequestrato e torturato per giorni prima di essere ucciso, forse da qualche agente delle forze egiziane.
Fonte: Il Post