Cosa impari con le revisioni

Da Marcofre

Con le revisioni dei miei racconti ritengo di avere imparato altre cose ancora, che provo ad elencare qui di seguito. Prima di procedere: non c’è niente di più divertente, sul serio. L’esordiente crede che il bello sia nella scrittura; questo accade perché nella sua inesperienza vede tutto luccicante e perfetto. In realtà è la pialla, la cesoia, l’ascia che rendono uno scritto, appena decente.

Di certo occorre lasciar passare un affare chiamato “tempo”: fa miracoli, sul serio.

  • Non è uno spot, è una storia. Siccome non è uno spot pubblicitario, i personaggi non devono essere condannati a sorridere. Anche nei libri umoristici (vedi per esempio: “Tre uomini in barca – per tacer del cane”), il sorriso viene usato con estrema cautela. Solo ai nostri tempi è diventato una piaga biblica. Per pigrizia o disattenzione, si ricorre a questa soluzione.
    Per fortuna ti si fa notare che sono fuori posto: un po’ come invitare una iena al proprio matrimonio. Oltre a essere troppo originale, trasmette un sentimento di rarefatta attesa della catastrofe che può portare a crisi isteriche.
  • Punto, punto e virgola, due punti. Sembrano elementi del tutto marginali i segni di interpunzione, vero? Uno pensa che la “polpa” sia la storia, e se le virgole lasciano a desiderare, fa nulla.
    Che errore.
    Quello che più mi manca, è proprio un buon uso dei punti di interpunzione. Purtroppo se si è autodidatta non sempre si riesce a camminare in modo corretto: da qualche parte si zoppica. Io zoppico proprio con le virgole e in genere i segni di interpunzione. Devo cercare il mezzo migliore per imparare a usare questi elementi fondamentali. Leggere certo, ma è necessario pure uno studio degli autori, per apprendere nel modo giusto l’arte della punteggiatura. Un punto può fare la differenza.
  • La scrittura non è una fotocopia della realtà. Questo l’ho imparato da un pezzo, ma conviene ribadirlo e ripeterselo almeno una volta al giorno. Spesso nei dialoghi, ma non solo, resiste la tentazione di rendere “perfettamente” la realtà, sulla carta. Non funziona, sul serio. E prima lo si capisce, meglio è, perché esiste il rischio di affezionarsi a un certo modo di lavorare. Questo può essere pericoloso: diventa difficile separarsene, perché lo si sente tagliato su misura.
    Quello che pare naturale, così aderente alla vita di tutti i giorni, è frutto di sottrazione e artificio: cioè si elimina con ferocia, e si maschera alla perfezione.
  • Non temere di riscrivere incipit e finale. Sul finale molti “trattano”, ma sull’incipit… Bisogna rassegnarsi all’idea che conta più la storia di chi la scrive. Per questo si creano personaggi detestabili, mentre noi siamo personcine molto a modo. “Essi” dicono parolacce, imprecano, mentre noi al di là di un “Poffare!” non siamo mai andati e ci coglie la vertigine se alle nostre orecchie giunge un “Cazzo”.
    Non importa quanto siamo affezionati all’incipit. Se è necessario modificarlo, o cambiarlo, si fa e basta. I nostri sentimenti al riguardo devono essere messi da parte.
    Conta solo la storia, chi scrive è al suo servizio. Il suo compito è di fare del proprio meglio perché splenda, viva e respiri.

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