I consigli di Emanuela D’Alessio
Così ha inizio il male di Javier Marias
Sto leggendo l’ultimo romanzo di Javier Marias, Così ha inizio il male (traduzione di Maria Nicola, Einaudi, 2015). La lettura procede molto lentamente perché l’autore spagnolo, famoso per i suoi Domani nella battaglia pensa a me e Un cuore così bianco (solo per citare alcuni titoli della sua corposa produzione letteraria) sembra non avere fretta di svelare quello che ha intenzione di raccontare. Qui, più che nei libri precedenti, ha ulteriormente affinato la memorabile capacità introspettiva, il lavoro di scavo nell’animo umano e nelle sfaccettature della realtà che lo caratterizzano, indugiando, fin troppo direi, su un dettaglio, un’idea, una sensazione. Al centro di Così ha inizio il male, titolo che si rifà a un verso dell’Amleto di Shakespeare (da cui Marias ama trarre ispirazione), c’è il matrimonio di Eduardo Muriel, mediocre cineasta e di Betariz Noguera, donna infelice, avvenente e dolente. Un matrimonio che nulla ha a che vedere con l’amore e il rispetto ma con i loro esatti contrari. E attraverso la voce narrante di Juan De Vere, alle dipendenze di Muriel quando era un giovane ventitreenne, ci ritroviamo immersi in questa intrigata ed enigmatica storia, sullo sfondo gli anni del franchismo, di cui si anela a scoprire la fine. Non è una lettura da consumare, ma da assimilare, e di questi tempi se ne avverte più che mai il bisogno.
Mentre stavo lasciando decantare le pagine di Marias, ho aperto Dalle rovine, stupefacente esordio di Luciano Funetta (Tunuè, 2015). Stupefacente perché fin dalle prime pagine si avverte la potenza di una storia ipnotica, straordinaria nel senso letterale di fuori dall’ordinario. Una storia audace, raccapricciante e commovente. Una storia dove sono caduta dentro senza volerlo, perché i serpenti mi suscitano una certa repulsione e la pornografia, per quanto artistica, mi lascia un po’ perplessa. Ma del libro parlerò meglio in seguito, intanto ecco un incipit: «Ogni stanza aveva la sua finestra; l’unico ambiente cieco era la stanza delle teche, dove Rivera teneva la collezione. Anche quando se ne stava tranquillo in soggiorno a non fare niente, sapeva che dietro la porta della stanza c’erano trenta creature la cui sopravvivenza dipendeva da lui. Aveva cominciato a collezionarle quindici anni prima e ormai occupavano gran parte delle sue giornate. Le catturava in campagna, le ordinava nei negozi di animali esotici oppure se le procurava al mercato nero, tramite individui che all’inizio lo avevano spaventato ma che ben presto erano diventati i suoi unici contatti con l’esterno, fatta eccezione per la corrispondenza che Rivera teneva con altri collezionisti, uomini e donne che non aveva mai visto, ma che gli sembrava di conoscere dall’infanzia».
Il canto del crepuscolo di Helen Humphreys
Infine c’è Il canto del crepuscolo di Helen Humphreys (traduzione di Fabio Viola, Playground, 2015), la scrittrice canadese insignita di prestigiosi premi letterari e di cui ho particolarmente amato La verità, soltanto la verità. Sarà la mia prossima lettura di questo Natale, che mi incalza con il suo inedito carico di tristezza. Leggo dalla bandella: «Nel 1940, James e Rose sono una giovane coppia inglese che la guerra separa subito dopo il matrimonio. Lui, pilota della Raf, viene catturato dai tedeschi e spedito in un campo di concentramento. Lei si ritrova sola in un piccolo villaggio del Sussex, a svolgere il lavoro di sorveglianza per il mantenimento del coprifuoco».