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Cosa leggiamo a Natale. I consigli di Federica Antonacci

Creato il 22 dicembre 2015 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Riceviamo e pubblichiamo volentieri i consigli di Federica Antonacci, collaboratrice de L’orma editore. Federica ha una laurea in Lettere e un Master in comunicazione. È web content editor con altre aspirazioni: i libri, come si fanno, come si traducono, come si scrivono, e perché. Il suo motore è l’inadeguatezza: colmare i vuoti di conoscenza leggendo, studiando, scrivendo, camminando.

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Gli anni di Annie Ernaux (L’orma editore, 2015)
Una storia individuale dentro la storia collettiva, una “autobiografia impersonale”, nella definizione della stessa autrice. Una scrittura asciutta, misurata, che nella traduzione di Lorenzo Flabbi non è snaturata e mantiene l’equilibrio perfetto delle parole esatte. Gli anni è uscito in Francia nel 2008, alla fine di un percorso personale di vita e scrittura che a partire da un singolare modo di fare autobiografia porta Ernaux a realizzare una biografia collettiva, unica nel suo genere, ed emozionante. Il nastro che si snoda parte dagli anni Quaranta e dall’immediato dopoguerra e arriva al 2006, delineando con precisa asciuttezza i cambiamenti della persona e della società. Attraverso i tòpoi ripetuti della descrizione delle fotografie di lei (che la ritraggono nelle epoche – di storia e di vita – più diverse), e dei pranzi di famiglia dei giorni festivi (che delineano i mutamenti della composizione anagrafica e familiare e parallelamente il mutare dei costumi e lo svolgere degli eventi) vengono scandite la Storia e la storia, appunto: personale e collettiva, come un inscindibile racconto carico di vita.
A vederla sulla foto, una bella ragazza solida, non si sospetterebbe mai che la sua più grande paura sia la follia. Per salvaguardarsene, almeno per il momento, non le viene in mente altro che la scrittura, forse un uomo. Ha iniziato un romanzo in cui si alternano le immagini del passato e quelle del presente, i sogni notturni e le fantasticherie sul futuro, il tutto in un “io” che è il doppio dissaldato di se stessa. È sicura di non avere nessuna “personalità”.

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L’invenzione della madre di Marco Peano (minimum fax, 2015)
Non è il dolore, non è la perdita, il fulcro de L’invenzione della madre (esordio di Marco Peano e Libro dell’Anno di Fahrenheit – Radio 3), ma la strada che si percorre attraverso essi. Un prima, un durante, un dopo, e la costruzione di sé e dell’essere amato che si sta perdendo. I tanti livelli di questo libro (il singolo, la famiglia, la relazione madre/figlio, la malattia, l’emancipazione e la costruzione di sé) si sfaccettano nelle micro-narrazioni di cui il libro è composto ma delineano un unicum il cui cuore è proprio l’invenzione. Di un tempo nuovo che è quello della malattia, di una madre nuova, che era sana, è malata e mancherà ma mai del tutto, di un nuovo sé, quello del protagonista, che nel dolore si era acquietato usandolo da rifugio e rallentatore del tempo. Accettazione e invenzione, dunque, come un nuovo motore di vita che non perde nulla dell’evento tangibile della perdita, ma anzi ne fa pietra angolare e lente di ingrandimento dentro di sé.
«Gli ci vorrà un po’ per accettare, vittima dei pregiudizi e forse anche di una certa formazione cattolica, che quelli sulla sofferenza che tarda ad arrivare, sul senso di colpa, in realtà sono falsi problemi. Non c’è altro da fare se non provare quello che c’è da provare, e lo spazio per i sogni, per il dolore e per le lacrime – tutte queste cose arriveranno».

Giorgio Manganelli, Viola Papetti, Lettere senza risposta (nottetempo, 2015)
Un epistolario intimo e privato regala un ritratto meravigliosamente umano e al contempo eclettico e magniloquente del grande Manganelli, negli scambi con la donna che a lungo sarà la sua amante e con cui condivideva un sodalizio anche professionale, Viola Papetti. Dalla postazione privilegiata della vicinanza estrema degli amanti, dalla conoscenza profonda che derivava dalla comunione intellettuale ed erotica, emerge un Manganelli che non smette mai di essere sé, uomo appassionato e vero, anche fragile nei momenti dell’assenza, uomo di lettere che lo è anche quando l’oggetto della scrittura è oggetto di passione.
«Quanto sto bene stretto a te, con te, su di te, dentro di te: guaina, fodero, rilegatura, discesa, labirinto, adito. Mi piaci perché hai un corpo penetrabile e cedevole, un corpo che ama essere attraversato, inchiodato, dilatato, tormentato, illanguidito; e mi piace quel corpo perché è tuo, lo porti come un modo per consentire l’accesso a te, a quel fulvo calore che ora ha avuto ragione dell’inveterato gelo della tua pelle. Ti scrivo e ti desidero, vorrei che ti arrivasse, che ti disturbasse gli ozi madrileni il desiderio, il puro e crudo desiderio di averti, di progettare un incontro, di fantasticare nuovi abbracci, di sentire in me e in te, il languore della saliva, del sudore, l’indulgenza e il furore delle mucose, della rosa cedevole e della rosa penetrativa. Se tu mi pensi, come spero, il tuo pensarmi ti dirà che io ti penso, e che anche desiderarti è un’arguzia, un gioco, un travestimento del pensarti. Ti penserò finché non ti sentirò, di nuovo, gemere. A presto. Ti bacio. Giorgio».

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