Cosa serve alla Giustizia italiana? E' la domanda che si sono fatti in molti all'indomani dell'inaugurazione dell'anno giudiziario e dopo l'ennesimo lamento sui mali di Corti e tribunali italiani. Un lamento ormai replicato all'infinito, tanto da apparire stucchevole per quanto si perpetua negli anni senza che nessuno, seriamente e al di là dei proclami, metta mano ad un comparto in cui oltre il 70 per cento dei reati finisce con l'impunità, vuoi per la mancanza di un sospettato, vuoi per l'inesorabile prescrizione evento tutt'altro che raro.
Viene da chiedersi quale sia la ricetta per fare uscire la giustizia italiana dal pantano per incarnare quelle parole di Cesare Beccaria che qualcuno ha invocato per discorrere delle vere priorità della giustizia: "Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi".
Serve inannzitutto una giustizia che abbia le risorse necessarie per riacquistare efficienza (difficile recuperare efficienza se non si hanno soldi per pagare le straordinarie al personale, per la carta delle fotocopiatrici per un sistema informatico che sia finalmente moderno), che possa avere più magistrati e più personale di cancelleria, che possa finalmente superare alcuni vincoli corporativi e campanilistici che continuano a garantire sopravvivenza a uffici giudiziari periferici che andrebbero chiusi per recuperare risorse da tributare, a chi per mole di lavoro e numeri di pendenze, è sull'orlo del collasso.
L'efficienza della giustizia poi si recupera anche con una oculata politica delle norme che snelliscano procedure troppo ferragginose (in sede civile come in campo penale) e che finalmente portino a compimento un percorso di depenalizzazione che renda le norme più efficaci (talvolta è meglio una multa salata che un processo penale che non arriverà mai a compimento) e il sistema più snello (invece la produzione di norme penali e in continuo e ingiustificato aumento).
"E’ necessario intervenire sul meccanismo della giustizia, divenuto farraginoso a causa di una mole spropositata di procedimenti giudiziari. Questa gargantuesca crescita della domanda giudiziaria non è stata causata da un’innata litigiosità del popolo italiano (per quanto la cosa sia nazional-popolare), ma perché il processo è divenuto una vera e propria corsa ad ostacoli verso la prescrizione, dove vince l’atleta con avvocati (ridotti ad azzeccagarbugli manzoniani) più abili. Il Dum Pendet, Rendet è complice della degenerazione del sistema. Tale status quo deve essere sovvertito radicalmente, promuovendo misure capaci di semplificare e accelerare il processo penale, sfrondando la giungla di Riti del processo civile, incentivando il dibattito stragiudiziale tra le parti; in altre parole, bisogna dedicarsi alla politica della ragionevole durata del processo, senza steccati ideologici" si legge, ad esempio, ad opera di Michele Dubini su Libertiamo.it, voce dei finiani che fanno capo a Benedetto della Vedova.
E le riforme in che senso vanno? In senso contrario, ovviamente, non intervenendo sugli ingranaggi della giustizia, rimuovendo le incrostazioni, snellendo le procedure, investendo su tecnologia e modernità, ma cercando di incidere sull'assetto ordinamentale sull'equilibrio dei poteri. Una riforma che di questi tempi sembra più punitiva che innovativa, dato che il primo presidente della Corte di Cassazione, Ernesto Lupo, ha spiegato all'apertura dell'anno giudiziario: «L' inefficienza del sistema giustizia - ha chiarito - non dipende dall' assetto ordinamentale e dall' equilibrio dei poteri delineato dalla Costituzione, concretamente realizzato a partire dell' istituzione della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura. Questi organi hanno costituito e costituiscono componenti fondamentali per la connotazione della Repubblica come stato costituzionale di diritto. Il modello italiano costituisce un punto di riferimento nel mondo».
La proposta del governo sintetizza Giovanni Bianconi sul Corriere sembra voler tornare ad un modello gerarchico piramidale in stile napoleonico invece del modello, spiega ancora Lupo: «orizzontale, caratterizzato dalla pari dignità di tutte le funzioni, dal governo autonomo della iurisdizione, dall' indipendenza del pubblico ministero dall' influenza del potere esecutivo, principio di cui è garante il Csm. Il principio di legalità - continua l'alto magistrato -, in un sistema fondato sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, non può essere salvaguardato se non attraverso l' obbligatorietà dell' azione penale, principio che costituisce "il punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale"».
Insomma sì alla riforma ma su un piano che metta in campo risorse nuove, che lavori sulle procedure e sulla razionalizzazione delle norme e non su quella sete di impunità che sembra trasparire da ogni passo del Governo (dal depauperamento del ruolo del pm, ridotto quasi a semplice funzionario come fosse un prefetto, e i prefetti di questi tempi non brillano certo per autorevolezza e indipendenza, alle pseudoriforme come quelle sulle intercettazioni telefoniche e sul processo breve).
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