Abbiamo incontrato la scrittrice Mahsa Mohebali al Maxxi di Roma per la presentazione del suo romanzo, appena pubblicato in Italia. Ma prima facciamo un passo indietro e vediamo come siamo arrivati fin qui.
A partire dal Novecento in Iran c’è stata una ripresa della prosa a discapito della poesia che aveva sempre caratterizzato la scrittura iraniana. Il romanzo è diventato il mezzo espressivo più adatto a comunicare i traumi della rivoluzione del 1979 e gli otto anni di guerra con l’Irak (1980-1988). C’è una linea di demarcazione tra la letteratura prima della rivoluzione del ’79 e quella dopo. La letteratura prerivoluzionaria era fortemente idealizzata ed era espressa da scrittori che si sentivano profeti visionari che incitavano la gente a ribellarsi alla dittatura. Quella post-rivoluzionaria, dopo l’instaurazione del governo islamico, si caratterizza con un’enorme diversità di generi e stili narrativi.
Un grande numero di donne hanno accesso all’istruzione superiore e all’università e questo è possibile, secondo Bianca Maria Filippini della casa editrice Ponte33, proprio grazie all’imposizione del velo a partire dagli anni Ottanta. Secondo l’editrice, che è docente di lingua e letteratura persiana, il velo funziona come una specie di lasciapassare, un salvacondotto e un segno d’umiltà che ha permesso alle ragazze di studiare. Ecco perché ci sono un gran numero di donne scrittrici. Il racconto breve diventa un mezzo per ridefinirsi e in Iran si contano 400 scrittrici che spaziano in tutti i generi, con almeno un’opera all’attivo. Per questo la casa editrice, specializzata in letteratura contemporanea iraniana, ha pubblicato più donne che uomini.
Osso di maiale e mani di lebbroso di Mostafa Mastur, è un romanzo imbevuto di ideali rivoluzionari e di riferimenti religiosi. Eppure i suoi personaggi sono trascinati nel caos dell’esistenza, in una totale mancanza di certezze.
Queste sono due delle figure più significative del panorma letterario iraniano contemporaneo.
Felicetta Ferraro, che prima di occuparsi di Ponte33 ha lavorato otto anni come addetto culturale all’ambasciata italiana a Teheran, sostiene che Non ti preoccupare ha avuto un grande successo in Iran proprio perché parla della generazione più giovane che fa uso massiccio di droghe.
Poi ci sono anche gli scrittori nati in Iran ma che scrivono in altre lingue, come Hamid Ziarati che vive in Italia da quando aveva quindici anni e ha pubblicato diversi romanzi con Einaudi. Oppure Bijan Zarmandili, anche lui presente all’incontro:
Nella sua opera c’è un riferimento al tema dell’esilio e un eco del passato. Il suo è un modo di vivere in-between, al confine. Viceversa in Non ti preoccupare c’è una generazione giovane e scalpitante che aspetta di esplodere. Sono giovani che contestano le generazioni precedenti, che dicono: “Abbiamo fatto la rivoluzione e poi gli islamici ce l’hanno scippata” e pensano che la rivoluzione avrebbe dovuto portare libertà, cambiamento e democrazia, mentre non è successo.
I protagonisti di L’estate crudele di Bijan Zarmandili sono proprio quei genitori quando erano giovani, ma lo scrittore crede che quello dei giovani attuali sia un problema più generale che non riguarda soltanto l’Iran. Quella dei padri era una società semplificata, mentre ora i giovani hanno i problemi che si possono trovare anche altrove.
Se le si fa notare: “I giovani che lei rappresenta nel suo romanzo sono una parte dell’Iran, anzi una parte di Teheran. Sono una minoranza”. Mahsa Mohebali risponde:
“Naturalmente. E’ un romanzo, non una statistica sociale. C’è una frase della filosofia mistica orientale: “Se tu conosci te stesso, allora hai conosciuto tutto il mondo”. Io ho cercato di far capire profondamente un giovane umano e penso che se tu hai capito una persona, hai capito molto. Ma non pretendo di aver capito tutti i giovani iraniani. Il mio personaggio non li rappresenta”.
“E’ molto difficile trattare questi temi. Il mio prossimo romanzo è la storia di una ragazza che è un oggetto sessuale. Oggi in Iran le donne danno molta importanza all’aspetto esteriore ed è quello che ci si aspetta da loro. Quando l’ho presentato a un editore che me lo aveva chiesto, visto il grande successo del mio romanzo precedente, lui ha affermato: “Guarda che a me queste ragazze non mi piacciono e non voglio avere niente a che fare con loro”. Io sono rimasta. Non è che chi ha pubblicato il Conte Dracula fosse interessato a uscire con lui. Gli ho detto che io non gli ho chiesto di uscire con quelle ragazze, ma di pubblicare il romanzo. Perciò non è solo il ministro che pratica la censura, ma c’è una forma di autocensura da parte della società. Dopo questo fatto mi sono convinta che il romanzo non sarebbe mai stato pubblicato e allora l’ho riscritto senza preoccuparmi della pubblicazione ed è venuto completamente diverso”.