Questa mattina Ban ki-moon ha sollecitato “l’invio di altri 5 mila caschi blu e 423 poliziotti per dar sostegno alla missione Onu in Sud Sudan”. Tale milizia andrà ad aggiungersi ai già 7 mila presenti e i 700 poliziotti della Missione di stanza a Juba.
Secondo la fonte Onu, gli Stati uniti sarebbero pronti in giornata a presentare una “risoluzione d’emergenza” al consiglio delle Nazioni unite, ritenendo necessaria un’aggiunta sostanziale di truppe sul territorio del Sud Sudan.
Nel paese africano gli scontri sempre più violenti tra le due fazioni rivali hanno raggiunto livelli critici.
Alcuni sopravvissuti hanno dichiarato di aver assistito a un’esecuzione di massa di 200 persone. Responsabili i soldati dell’esercito, che spinti sopratutto da motivazioni etniche sarebbero accusati di stupri e omicidi.
Il timore tra le autorità internazionali è che lo scontro politico e personale tra il presidente Salva Kiir Mayardit e l’ex vicepresidente Riek Machar, abbia risvolti più che drammatici. Un rischio tangibile, considerata l’entità degli scontri in Sud Sudan.
Le parole dell’inviato Usa Donald Both a Juba non appaiono abbastanza rassicuranti. Il diplomatico ha “assicurato” che il presidente Kiir ha avviato una trattativa senza precondizioni con l’ex alleato Machar che porterà a una risoluzione politica della crisi nel Paese.
Sembra passata un’eternità, ma tutti gli eventi si stanno susseguendo in un lampo di tempo di nove giorni. Ma cosa sta accadendo in Sud Sudan?
Tutto comincia il 15 dicembre, quando il presidente Kiir Mayardit, dichiara pubblicamente ” di aver sventato un tentato colpo di stato per mano del proprio vice Riek Machar e alcuni “soldati scontenti”
Nel Paese iniziano le sommosse. Sopratutto nella capitale Juba, con repressioni della Guardia repubblicana nelle piazze. Il bilancio è di 49 morti e 400 feriti.
I primi a individuare il pericolo di un bagno di sangue sono gli Stati Uniti che “richiamano” la propria ambasciata, ordinando la sospensione di tutte le attività essenziali.
Il 18 dicembre il ministro degli esteri Emma Bonino annuncia l’inizio delle operazioni di evacuazioni degli italiani presenti in Sud Sudan, sopratutto operatori umanitari.
Nello stesso giorno, l’accusato Machar parla per la prima volta dichiarando Kiir come “illegale”, smentisce le accuse di colpo di stato e si toglie fuori da ogni tipo di complotto. Secondo l’ex vice di Kiir, ci sarebbe solo stato “un malinteso tra i membri della Guardia presidenziale”.
Il giorno dopo le dichiarazioni di Machar, alcune forze ribelli fedeli all’ex presidente annunciano la presa di Bor, cittadina a 200 chilometri a Nord di Juba. Lo scontro ormai è ufficiale: Esercito sudanese governativo contro il SPLA, esercito popolare di liberazione del Sudan, forze armate del Paese.
I combattimenti provocano 500 morti. I ribelli sud-sudanesi attaccano la base Onu di Akobo. Periscono 3 caschi blu indiani e almeno 20 civili rifugiati all’interno.
Gli scontri ormai assumono la forma di una guerra civile.
All’indomani dell’attacco alla base delle Nazioni unite in Sud Sudan, il segretario di stato John Kerry invia Donald Booth a Juba col compito di agevolare il dialogo tra i due leader affinché cessi il fuoco.
Il 21 dicembre, durante un’evacuazione Usa, un aereo viene colpito. Rimangono feriti quattro militari americani. A dichiararlo è il Dipartimento della Dfesa statunitense.
Infine ieri a parlare è stato il presidente Kirr, annunciando il dispiego di forze armate, pronte “ad avanzare per riconquistare Bor in mano ai ribelli”. Tali dichiarazioni unite agli eventi di oggi, 24 dicembre, sembrano non presupporre una risoluzione positiva della situazione in sud sudanese. Almeno nei prossimi giorni.
Come spesso accade nei Paesi africani, risultano chiare le motivazioni di un conflitto che vanno al di là di fattori politici e ideologici. Oltre che a una fedeltà nei confronti di Kiir o del suo ex-vice, nel Sud Sudan il conflitto appare sopratutto etnico. Con i dinka, tribù sub-sahariana più popolosa del Sud Sudan, schierati con il presidente in carica. E i nuer a favore del dissidente Machar.