In una raccolta di racconti, deve esserci un argomento che in qualche modo li leghi? Oppure ciascuno di essi può essere indipendente da quello che lo precede, e che lo segue? Risposta veloce: non ci sono regole, e ciascuno può agire come meglio crede. Tuttavia…
Scrivere significa raccontare storie
La mia prima raccolta di racconti non aveva un argomento che li unisse, o meglio: forse c’era ed era la crisi, ma non è che mi andasse di parlare di essa. A me interessano le persone e come queste agiscono e reagiscono agli eventi. Uno di questi può essere la perdita del lavoro, certo; ma anche un marito che se ne va (“Non credere che sia un male”). Oppure la perdita di una tubatura e l’incontro con un vicino strano (“Patatine”).
Quindi c’erano delle coppie, o degli individui, che avevano delle difficoltà. Avrei potuto “virare” verso una scrittura che suscitasse solo indignazione? Certo, ma non era quello il mio obiettivo. Io celebro le erbacce, o almeno ci provo. Ogni persona è un mistero: fine. Non mi interessa educare (addomesticare): potrei farlo, e visto quanti scrittori e scrittrici seguono questa pratica, e hanno successo, sono certo che avrei maggiori consensi.
Quello che si dimentica è che scrivere è “solo” raccontare storie.
Un aspetto positivo dell’autopubblicazione
Uno degli aspetti positivi dell’auto-pubblicazione è che un mucchio di gente non ti considera degno di attenzione. Ai loro occhi sei un fallito, un incapace. E qui tiro un sospiro di sollievo, perché in questo modo posso procedere nel mio percorso.
In caso contrario dovrei passare il mio tempo a spiegare che non desidero educare niente e nessuno. Che non è compito della narrativa rendere migliori le persone, perché la cultura non migliora niente e nessuno. È l’individuo che un giorno decide di migliorarsi. Magari senza mai leggere un libro, né frequentare teatri o mostre. Se decide di essere davvero migliore, non ha bisogno di biblioteche, né quadri. Ha bisogno solo di se stesso, di tutto se stesso. La gente di cultura ha costruito i gulag e i campi di concentramento: e poi andava a teatro. E apprezzava lo spettacolo in ogni sua parte.
Torniamo al tema del post, adesso.
Una nuova raccolta di racconti
Nella nuova raccolta di racconti che uscirà a breve (almeno spero!), con Narcissus, mi pare che l’argomento ci sia, e bello nitido: l’amore. Alla mia maniera però. E per un po’ di tempo mi sono chiesto se fosse giusto “imporre” questo argomento. Non avevo sempre detto che siamo al servizio della storia (delle storie)?
Se è così, non ci si dovrebbe preoccupare di quello che unisce i racconti, ma scriverli e basta. Finché non ho trovato la via d’uscita, la scappatoia, l’illuminazione. Esatto: ho visto la luce.
E questa luce diceva:
“Scrivi gli stramaledetti racconti e non ti infarcire la testa di quesiti di cui non troveresti mai le risposte (e nemmeno le capiresti).”
E così ho fatto. Li ho scritti. Ho anche scovato una epigrafe da piazzare all’inizio:
“Io sto in disparte, dall’altro lato del banco di vendita.”
È tratta da “Diario di un seduttore” di Søren A. Kierkegaard. Sì, è stata una lettura impegnativa in effetti.
Alla fine, se produci pane, devi produrre pane al meglio delle tue possibilità. Se scrivi, scrivi. È ovvio che dentro una storia c’è il tuo modo di vedere le cose: non può essere altrimenti. Se sei fatto di ciccia e frattaglie varie, allora sei di questo pianeta e avrai una certa visione. L’essenziale è evitare di restarne prigioniero. Dostoevskij riusciva a dare voce a personaggi di cui ormai non condivideva più niente; ed era convincente. Per questo continuiamo a leggerlo.
Alla fine, immagino che a unire una raccolta di racconti debba essere la compassione.