Cosa unisce una raccolta di racconti?

Da Marcofre

In una raccolta di racconti, deve esserci un argomento che in qualche modo li leghi? Oppure ciascuno di essi può essere indipendente da quello che lo precede, e che lo segue? Risposta veloce: non ci sono regole, e ciascuno può agire come meglio crede. Tuttavia…

Scrivere significa raccontare storie

La mia prima raccolta di racconti non aveva un argomento che li unisse, o meglio: forse c’era ed era la crisi, ma non è che mi andasse di parlare di essa. A me interessano le persone e come queste agiscono e reagiscono agli eventi. Uno di questi può essere la perdita del lavoro, certo; ma anche un marito che se ne va (“Non credere che sia un male”). Oppure la perdita di una tubatura e l’incontro con un vicino strano (“Patatine”).
Quindi c’erano delle coppie, o degli individui, che avevano delle difficoltà. Avrei potuto “virare” verso una scrittura che suscitasse solo indignazione? Certo, ma non era quello il mio obiettivo. Io celebro le erbacce, o almeno ci provo. Ogni persona è un mistero: fine. Non mi interessa educare (addomesticare): potrei farlo, e visto quanti scrittori e scrittrici seguono questa pratica, e hanno successo, sono certo che avrei maggiori consensi.
Quello che si dimentica è che scrivere è “solo” raccontare storie.

Un aspetto positivo dell’autopubblicazione

Uno degli aspetti positivi dell’auto-pubblicazione è che un mucchio di gente non ti considera degno di attenzione. Ai loro occhi sei un fallito, un incapace. E qui tiro un sospiro di sollievo, perché in questo modo posso procedere nel mio percorso.
In caso contrario dovrei passare il mio tempo a spiegare che non desidero educare niente e nessuno. Che non è compito della narrativa rendere migliori le persone, perché la cultura non migliora niente e nessuno. È l’individuo che un giorno decide di migliorarsi. Magari senza mai leggere un libro, né frequentare teatri o mostre. Se decide di essere davvero migliore, non ha bisogno di biblioteche, né quadri. Ha bisogno solo di se stesso, di tutto se stesso. La gente di cultura ha costruito i gulag e i campi di concentramento: e poi andava a teatro. E apprezzava lo spettacolo in ogni sua parte.
Torniamo al tema del post, adesso.

Una nuova raccolta di racconti

Nella nuova raccolta di racconti che uscirà a breve (almeno spero!), con Narcissus, mi pare che l’argomento ci sia, e bello nitido: l’amore. Alla mia maniera però. E per un po’ di tempo mi sono chiesto se fosse giusto “imporre” questo argomento. Non avevo sempre detto che siamo al servizio della storia (delle storie)?
Se è così, non ci si dovrebbe preoccupare di quello che unisce i racconti, ma scriverli e basta. Finché non ho trovato la via d’uscita, la scappatoia, l’illuminazione. Esatto: ho visto la luce.
E questa luce diceva:

Scrivi gli stramaledetti racconti e non ti infarcire la testa di quesiti di cui non troveresti mai le risposte (e nemmeno le capiresti).”

E così ho fatto. Li ho scritti. Ho anche scovato una epigrafe da piazzare all’inizio:

“Io sto in disparte, dall’altro lato del banco di vendita.”

È tratta da “Diario di un seduttore” di Søren A. Kierkegaard. Sì, è stata una lettura impegnativa in effetti.
Alla fine, se produci pane, devi produrre pane al meglio delle tue possibilità. Se scrivi, scrivi. È ovvio che dentro una storia c’è il tuo modo di vedere le cose: non può essere altrimenti. Se sei fatto di ciccia e frattaglie varie, allora sei di questo pianeta e avrai una certa visione. L’essenziale è evitare di restarne prigioniero. Dostoevskij riusciva a dare voce a personaggi di cui ormai non condivideva più niente; ed era convincente. Per questo continuiamo a leggerlo.
Alla fine, immagino che a unire una raccolta di racconti debba essere la compassione.


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