cosa voleva dire guccini con vedi cara

Da Gynepraio @valeria_fiore

C’è questa abitudine, tristemente maschile, di immaginare che la distanza che separa una persona in grado di amare da una incapace sia puramente intellettuale. Come a dire, tu sai amare perché sei un animo semplice mentre io ti amo alla speraindio perché la mia intelligenza mi condanna a ciò. La mia anima è troppo tormentata perché io possa abbandonarmi a cose come la tenerezza, la progettualità oppure, udite udite, le questioni pratiche. Son troppo impegnato a farmi domande, quindi vedi di non scassare il cazzo. Un esempio molto calzante, secondo me, è Vedi Cara di Francesco Guccini, una canzone apparentemente d’amore che ho cantato a squarciagola ad almeno 5 concerti tenutosi all’allora Palastampa. Ma in cui, anni dopo, ho trovato un inno al narcisismo maschile, cioè ad uno dei veri grandi mali del nostro tempo.

Lui è un artista bohémien, irrisolto, complesso, incredibilmente misterioso e pertanto irrimediabilmente incompreso. Lei, che chiameremo Cara, non capisce quando cerca in una sera un mistero e l’atmosfera, quando ride senza muovere il viso, quando piange senza un grido, quando vorrebbe urlare. In fin dei conti, lei è un cuor contento: è molto ma non è abbastanza, è tutto ma quel tutto è ancora poco, è paga del suo gioco, ha già quel che vuole mentre lui ancora vaga ramingo alla ricerca del vero senso. Insomma, Cara, vedi un po’ di comprenderlo mentre lui fugge dietro al suo sogno, ma se non hai capito già, tendenzialmente non capirai mai.

Mi immagino lui è chiuso a chiave nello studio a leggere Baudelaire, tenendosi il capo tra le mani e sentendosi un Albatros che sbatacchia le ampie ali e cerca invano di volare. Ad un certo punto, si accende una sigaretta e lei lo rimprovera: “Francy, ti prego, puoi non fumare in casa che ristagna l’odore?” e lui “Cara senti, c’ho una crisi dentro che sta urlando per uscire, lasciami fumare”. Lei si ricorda rapidamente che oggi è stata 8 ore in ufficio, ha accompagnato il padre vedovo alla visita proctologica, ha fatto la spesa e ha sgambettato fino a casa con le tigelle calde di forno e un etto di crudo stagionato, ha pulito casa, raccolto le cicche dai posacenere e bagnato le piante. A quel punto vorrebbe ammazzarlo, quel buono a nulla depresso che se ne sta nell’altra stanza a stabaccare come se non ci fosse un domani. Invece incassa e si sente pure un po’ scema, a insistere per cercare di addomesticare quell’uomo tutto genio e creatività.

Intanto pensa che doveva mettersi con un meccanico di Granarolo, amico di suo cugino Mattia, che le faceva la corte ed era pazzo di lei, con le mani fatte a badile e una corposa parlata della bassa Padana. Che il diavolo mi si porti, che mi sono innamorata di ‘sto menestrello di provincia e mi son fatta convincere a trasferirmi a Bologna con lui in una topaia di mansarda che non c’abbiamo manco un balcone per fumare.

Ma gli anni passano e Cara, che non saprà scrivere in endecasillabi ma ha risorse ed inventiva da vendere, cerca altrove qualche conforto e coltiva la sua spiritualità come può. S’iscrive a yoga, inizia a frequentare un’erboristeria dove le prescrivono tantissimo Rescue Remedy.

Rescue remedy

Va pure dall’analista, lei, che poverina vorrebbe solo un uomo normodotato possibilmente non dissociato né sociopatico, e una casa col balcone per non dover fumare dentro. In tutto questo susseguirsi di psicoterapia, fiori di Bach e Surya Namaskara, muore il papà di Cara. Le ultime parole dell’unico uomo che abbia mai veramente stimato, sono tutte per lei: Cara, molla quel perditempo strimpellone e trovatene uno che sappia cambiarti una gomma se bucate sulla provinciale. 

Quando inizia la liaison col famoso meccanico amico di suo cugino Mattia di Granarolo -incontrato al funerale e riconosciuto a fatica, visto che nel frattempo è ingrassato di 10 kg buoni- Cara scopre un mondo fatto di passeggiate, di complimenti, di portiere aperte. Una sera si beve alla goccia un cordiale, va da Francy e gli dice che è finita. A quel punto il nostro perde la testa. E scrive Quattro Stracci.

Il cui senso è: Cara, tu, osi lasciare me? Tu? Razza di sempliciotta, adesso solo perché il sabato mattina all’alba vai a far meditazione a Lido di Classe, pensi di essere arrivata? Chi te le ha messe in testa queste idee malsane: lo psicologo? L’omeopata? Ah, ma vedrai se quando starai tra le callosissime mani di quell’artigiano di provincia -tutto tuo padre, tra l’altro- non rimpiangerai le mie ditine da chitarrista, con la sigaretta da una parte e la penna dall’altra. Cara, io te lo dico, quello ti si vorrà trombare solo il mercoledì delle Ceneri degli anni dispari dalle 9 alle 10, mentre con me tiravi tardi con le fantasie, i sogni, i giochetti erotici e tutto il resto.

Ah, Cara, ma io lo sapevo già. Del resto, non hai mai capito e non capirai mai nulla.

PS mi sono ricordata che un anno fa o poco più avevo letto questo post, scritto a quattro mani da due delle blogger che apprezzo maggiormente. Che la vedono diversamente da me, ma forse la loro Cara è un’altra.


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