Cose che abbondano/scarseggiano in Corsica

Da Chiagia

1) Le baguette (abbondano)
La cosa che hanno imparato meglio i corsi tra le tante che i francesi hanno provato a inculcargli è, probabilmente, il commercio forsennato di baguette. Ne vedi miliardi, in ogni negozio e bancarella. E in ossequio allo stile dei conquistatori si portano rigorosamente sotto l’ascella, schermate da un brandellino di carta. Noi chiedevamo il sacchetto, e loro fingevano di non capire.

2) I bancomat (scarseggiano, almeno sembrava)
In ossequio alla legge per cui le cose che cerchi non le trovi mai e poi, appena smetti di cercarle, ne trovi a bizzeffe, sulle prime sembrava che i bancomat in Corsica non esistessero. Tre giorni a cercare uno sportello e alla fine arrivare fino a Solenzara (venti minuti di macchina) per trovarne uno. Ora, non dubito che ce ne fossero anche a Porto Vecchio: ma erano più nascosti delle bancarelle di baguette. Nei centri piccoli nisba. Dopo il prelievo, invece, spuntavano ovunque

3) Le lagune (abbondano)
Temevamo di rimanere delusi, dopo tre anni di Sardegna. Invece le spiagge corse – con annessa laguna azzurrissima – ci hanno lasciato davvero a bocca aperta. Al primo posto, nella mia classifica personale, c’è Rondinara, che supera le più quotate Santa Giulia e Palombaggia. Inatteso exploit dell’outsider San Cipriano, che ci ha salvato nell’unico giorno di vento. Fuori gara, e non potrebbe essere altrimenti, l’isola di Lavezzi (seguiranno foto).

4) I prodotti tipici (scarseggiano)
A differenza di quella sarda la tradizione gastronomica corsa fa un po’ ridere, e lo dico conscio che questo mi costerà una bomba indipendentista. Tutto gira attorno al brocciu, una gustosa ricotta che mettono come ripieno e condimento per le paste, come guarnizione per la carne e dentro i dolci. C’è il brocciu fresco, appunto simile a una ricotta, e il brocciu stagionato, simile a una ricotta stagionata. Per il resto nulla: un salsiccione (figatellu), dei rosè di cui si dirà dopo e un miliardo di tipi di formaggi portati dai francesi. Assente ingiustificato il cinghiale, che pure è uno dei simboli dell’isola. Maltrattato il pesce. Ah, poi c’è il brocciu.

5) La bandiera con il moro e le U (abbondano)
Avrei voluto saperne di più della storia dell’indipendentismo corso, solo che ogni volta che guardavo su google leggevo di bombe e attentati ed evitavo di proseguire. La faccia del moro sulla bandiera (con la benda sollevata dagli occhi, nell’illusione dell’effimera liberazione del 1700) però non la puoi evitare perché sta davvero ovunque. Come le U, che loro mettono al posto della O perché la loro lingua non sia – come è – praticamente identica all’italiano. Era divertente vedere i cartelli stradali con la toponomastica francese (derivata da quella italiana, es. Solenzara) cancellata con lo spray e quella corsa, identica a parte la O che diventa U, lasciata in chiaro.

6) Il mio francese (scarseggia)
Dopo la debacle del mio inglese a Londra 2012 (arrivato con speranze di podio è stato eliminato nelle batterie), c’erano velate aspettative per il debutto corso del mio francese. Che è pressoché inesistente, ma a Parigi, per dire, era bastato. Invece stavolta è stato il massacro. Le francesi (specie le donne) mi parlavano a velocità supersonica e rimane nel leggendario dei nostri viaggi questa conversazione:
- Pouvez vous tailleur la baguette?
- Jnaipsdcoutour!
- En quatre parts.
- Jnaipsdcoutour!
- La baguette.
- Jnaipsdcoutour!
- …
- Jnaipsdcoutour!
- Mi sa che non ha il coltello.

Dal terzo giorno ho iniziato a parlare in italiano, anche perché dopo tanto sforzo sentirsi dire “me lu dica in italianu” era piuttosto umiliante.

7) I doppi sensi (abbondano)
Tra i motivi per cui il popolo corso è perennemente incazzato c’è forse anche il fatto che il loro nome è stato sfruttato per secoli dagli enigmisti per fare doppi sensi e crittografie varie (un corso mascherato, una folle corsa, ecc.). C’è da dire che ci mettono del loro, se la località Favone sta vicino a Figha, mentre Finocchiu ne sta molto lontano. O se le isole Cerbicali sono belle da mal di testa. Altro discorso è se quando prendi la nave per tornare a casa pensi: “Bastia, che dolore!”.

8) I gelati, l’acqua minerale, il vino, il caffè (probabilmente scarseggiano)
Che scarseggiassero lo deduco dall’imbarazzante prezzo a cui vendevano questi beni. I gelati erano gli stessi che ci sono in Italia, ma con i nomi diversi (Algida è Miko) e il prezzo doppio: un Magnum in spiaggia costa 4 euro. L’acqua, poi, è un caso limite: la mettono in bottigline da 33cl per ammortizzare meglio l’euro e mezzo che ti chiedono. A tavola poi, tutto è costosissimo: la bottiglia in plastica di acqua corsa costa, anche in pizzeria, cinque euro. Il vino rosè, orgoglio isolano ma alle mie papille non esperte non dissimile da un Tavernello, partiva dai 20-25 euro a bottiglia da 75cl. Il caffè macchiato due euro e venti, e dire che di mucche ce ne sono a sfare.

9) I gatti (abbondano)
Ce ne sono tanti, e ovunque. Nel nostro residence avevamo il privilegio di iniziare la giornata con una gattina neomamma e con i suoi due cuccioli tra le nostre zampe. Famigliola che ci ha deliziato con piccoli documentari in presa diretta sullo svezzamento e l’addestramento alla caccia. Sul costone di Bonifacio, dove le case stanno oltre lo strapiombo sul mare, un gattone si godeva coccole e fotografie. E poi le cartoline, le magliette, le tovagliette per la colazione.

10) I bar (scarseggiano quando vogliono)
Stesso discorso che vale per i bancomat: ci sono quando non li vuoi, spariscono quando li cerchi. Resta memorabile un pranzo post-mare programmato al Geant Casino (un nome che è anche una metafora del mio posto di lavoro). Io faccio quello esperto del settore e pronostico che all’interno troveremo almeno un paio tra Flunch e Quick. Invece non c’è un tubo, nemmeno un distributore automatico di panini. Dopo un quarto d’ora a vagare nella periferia portovecchina senza trovare uno straccio di bar finiamo in una curiosa pasteria che mette gli gnocchi nelle scatole di carta, come il cibo cinese.

11) Le torri genovesi (abbondano)
Nella zona in cui stavamo noi (sud est dell’isola, tra Solenzara e Bonifacio) la costa è punteggiata da torri genovesi che si guardano da un promontorio all’altro, ultimo lascito degli svariati secoli in cui la Corsica era davvero una provincia ligure. Per il resto di genovese è rimasto poco e soprattutto nei forni al posto della focaccia ci sono le baguette e una pizza alta e pesante. E i muscoli non c’entrano un cazzo con le patate fritte, qualcuno glielo dica.

12) Le alghe e il vento (scarseggiavano quest’anno)
Le alghe non è che scarseggiano sempre, anzi, almeno a giudicare dai cartelli indicatori che cercano di convincerti che le alghe non sono rifiuti ma preziosa natura che si pasce di sé. Nemmeno il vento scarseggia in generale, come si confà a un’isola. Solo che noi avevamo da pareggiare il debito dell’anno scorso, quando la vacanza di San Teodoro è stata pesantemente influenzata da alghe e vento. E quindi un qualche Dio della proloco ha deciso che stavolta saremmo stati graziati. Merci.



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