Il caso, che affiora dalle carte dell’inchiesta condotta dalla Procura di Cosenza, è esploso due anni fa. Un frate francescano si presentò in Questura per denunciare ai poliziotti una segnalazione ricevuta da un suo confratello. Con un sms il parroco della chiesa di San Francesco, sita nel quartiere popolare di via Popilia, aveva riferito ad un suo superiore un fatto grave che vedeva come vittime alcuni dei ragazzini che frequentavano la parrocchia. La madre di uno di questi gli aveva rivelato ciò che sarebbe accaduto.
Ad aprire le indagini il capo della Mobile Antonio Miglietta che ascoltò, alla presenza di uno psicologo dell’età evolutiva, il figlio della donna che, non pensando allo strumento della denuncia, si era rivolta alla chiesa per cercare conforto. Iniziarono ad affiorare i particolari della vicenda.
Gli altri testimoni ascoltati dagli agenti non avrebbero al momento fornito altri particolari significativi e le accuse si riferiscono solo alle violenze confessate. Secondo l’avvocato della difesa, un castello accusatorio. L’imputato si protesta infatti innocente e ha già preannunciato di voler dare battaglia in dibattimento in attesa di giudizio in uno di quei casi oramai all’ordine del giorno.
Il 2 dicembre 2011 il gup Salvatore Carpino, che ha rinviato a giudizio il trentasettenne, ha condannato per mezzo secolo di carcere 9 pedofili su 13 indagati che hanno “giocato” con la vita di un ragazzo affetto da disturbi mentali. Avevano scelto di essere giudicati con il rito abbreviato nell’ambito dell’inchiesta “Orchi”, condotta con il massimo riserbo dai carabinieri della stazione principale di Cosenza.
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