Uomini e donne che da sempre vivono in condizioni che a noi piace classificare proibitive. Esistenze dure sostenute dalla forza di piccole comunità che sanno trarre il meglio da una natura avara e dal succedersi delle stagioni e concedersi persino la tregua della bellezza.
Poi arrivano loro, i bianchi sterminatori. E di un’intera comunità non sopravvivono che una donna anziana e un suo nipotino, flebile possibilità di futuro.
Sullo sfondo di una vicenda poco conosciuta, quella dell’orribile massacro degli inuit, ecco una storia intensa, dolorosa e poetica.
Una storia “possibile”, raccontata da uno scrittore che per tanti anni ha vissuto in Groenlandia (prima di finire, per chissà quale singolare contrappasso, in Malesia), a partire da due crani che tanti anni fa ha ritrovato in queste terre dell’estremo nord: di una donna e di un bambino appunto,
Riel è magistrale nel raccontarci il mondo degli inuit prima del devastante impatto con gli europei. Una rara penna capace di usare al meglio tutti i colori del crepuscolo.