A volte non riesco a venire a capo della mia esistenza pubblica (ehm, ehm). Questo dovere quotidiano di essere qui per possedere la realtà, farsene carico, leggerla, interpretarla diventa un fardello insopportabile. Mi fermo allora, poso il peso e lascio che le braccia riprendano vigore. Penso al senso di essere qui, a volte illudendomi che sia l'unico posto ove la vita mi sembra vera, e che le minime tracce di pensiero diffuso possano concretizzarsi in un investimento fruttuoso per non so bene qual futuro. Fossi capace anch'io di giocare al ribasso e vincere come fanno questi sofisticati speculatori che giocano la vita su refusi, calcoli incomprensibili, attese vane. E invece no, io l'unica borsa ove gioco è quella nella relazione tra me e il desiderio di essere altro, anche se non ho ben capito ancora cosa essere, data la quantità smisurata di essere offerta dal mercato. Tengo la vita a freno, vivo al cinque per cento e nonostante consumo come un pazzo il tempo e lo perdo in tanti tipi di gioco balordo: mi vivo come se la vita vera dovesse ancora venire sapendo benissimo però che la vita è ora, hic et nunc, e i crediti verso di essa vanno piano piano esaurendosi. Che voglio dire esattamente? Forse che non posso vivere la vita che desidero? No, giacché non so bene che vita desiderare oltre a questa. So che tutti i giorni mi esercito ad allontanare i vacui sogni a occhi aperti come se fossi qualcun altro; lo strano è che questo esercizio non frena e non impedisce le illusioni di presentarsi per scalfire quel minimo di atteggiamento stoico che forzatamente col tempo mi sono costruito. Tutti i giorni eccole, le sobillatrici di inganni, sirene allettanti che impongono continue scelte, continui cambi di strada, continue decisioni. Ma io non so tagliare, non so mai decidermi, non so mai bene quello che va desiderato. Io sono un malato di desiderio cronico e a questo mi sono abituato. È facile resistere, ma non perché sono un eroe, tutt'altro. La mia pavidità è una scelta precisa e col tempo credo sia divenuta una mia qualità, con la presunzione che un giorno possa essere talmente carico di saggezza rinunciataria da divenire un novello budda occidentale, che gira tra i supermercati riempendo il carrello di vuoto, toccando i culi dei manichini, mangiando i gelati disegnati sui cartelli pubblicitari, gridando nella pubblica piazza televisiva il proprio silenzio. Io non sono, io non so, io no.
P.S.
Giuro: ho letto dopo questo post di Formamentis. Affinità elettive.