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“Cosmopolis” di David Cronenberg: la crisi e il disordine del capitalismo finanziario

Creato il 11 settembre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

“Cosmopolis” di David Cronenberg: la crisi e il disordine del capitalismo finanziario

LA CRISI E IL DISORDINE DEL CAPITALISMO FINANZIARIO

                                                                                                            Su Cosmopolis di David Cronenberg

Dopo il Pasto Nudo di Burroughs e Crash di Ballard, David Cronenberg traduce in immagini il romanzo Cosmopolis dello scrittore italoamericano Don DeLillo.

Come ha dichiarato lo stesso autore canadese(1), la sceneggiatura è stata scritta in soli sei giorni, tre dei quali passati a trascrivere i dialoghi del libro di DeLillo e gli altri tre a descrivere scene e inquadrature del film. Cronenberg ha avuto una immediata affinità con il testo letterario, ma allo stesso tempo lo ha tradotto in materia filmica con tutti i temi e stilemi del suo cinema. A differenza di tutti i film tratti da romanzi, dove la sceneggiatura era già confezionata oppure era in compartecipazione, Cosmopolis di DeLillo, nel momento della sua metamorfosi in immagine cinematografica, è diventato Cosmopolis di David Cronenberg, con una sceneggiatura totalmente opera dell’autore di Toronto in un processo creativo personalizzato come era già successo con le opere di Burroughs e di Ballard.

Partendo da questa premessa, focalizziamoci solo sul testo filmico cronenberghiano, dove i dialoghi di DeLillo innestati in un trapianto visivo nel corpo filmico diventano tout court rappresentazione del punto di vista del regista.

Cosmopolis di Cronenberg è un film cerebrale, freddo e asettico come una sala operatoria, che mette in scena le ultime ore di un malato terminale (il capitalismo contemporaneo) e allo stesso tempo sporco, disordinato, caotico come solo il regista canadese riesce a creare. Del resto, Cronenberg si circonda sempre della stessa squadra artistica (Peter Suschitzy alla fotografia, Roland Sanders al montaggio, Howard Shore alla musica, Denise Cronenberg ai costumi), riuscendo a riproporre il suo cinema con una cifra stilistica inconfondibile e a tratti autoreferenziale, dove si vedono richiami a Crash (il rapporto fisico-sessuale tra uomo e macchina), Existenz (il caos esterno e interno dei personaggi e della realtà in cui si muovono, con spazi geografici che sono mappe mentali), Videodrome (per la capacità precognitive sul cambiamento sociale in atto – lì sulla società dei media, qui sul capitalismo finanziario), Inseparabili (per la paranoica freddezza e la lucida autodistruzione del protagonista), La Mosca (lo scienziato vittima della suoi stessi esperimenti).

L’onnipotenza del potere: messa in scena del capitalismo finanziario.

Dopo i titoli di testa, la prima – breve – sequenza inizia con il dettaglio del frontale di una limousine per poi, con una carrellata in avanti bassa, mostrare una serie di limousine tutte bianche, tutte perfette e pulite, parcheggiate e in attesa dei loro proprietari. Stacco e in campo medio esterno vediamo subito Eric Packer (Robert Pattinson) e la sua guardia del corpo Torval (Kevin Durand) in piedi che guardano l’orizzonte fuori dall’inquadratura. Sono perfetti in completo scuro e camicia bianca e Packer indossa occhiali scuri a nascondere lo sguardo. Packer vuole attraversare Manhattan per “aggiustarsi il taglio” nella bottega del barbiere dove andava suo padre e lui da bambino. Torval lo vuole dissuadere perché ci sono problemi di traffico e si rischia di metterci molto tempo, ma Packer insiste e chiede quale sia la sua limousine.

Nella seconda sequenza siamo dentro la limousine e Packer viene inquadrato assiso su una poltrona che sembra un trono, un posto di comando con tanto di braccioli con visori e computer, dove scorrono numeri, grafici, immagini e già si capisce, senza ancora che sia esplicitato nulla ma solo con la messa in scena e in quadro, che siamo di fronte a un uomo giovane, ma molto ricco e potente.

Il viaggio dunque inizia e la scena principale della diegesi filmica sarà l’interno dell’auto dove si alterneranno diversi personaggi.

“Cosmopolis” di David Cronenberg: la crisi e il disordine del capitalismo finanziario

Il primo che incontra è il suo socio Shiner (Jay Baruchel) – altrettanto giovane, con cui ha fondato la società finanziaria che li ha resi ricchissimi  -  a cui chiede se la rete aziendale è sicura, se anche il network all’interno dell’auto sia sicuro. Shiner lo rassicura, ma Packer insiste perché non ne è convinto. Qui si introduce l’elemento dell’ossessione della sicurezza che sarà un tema ricorrente per tutto lo svolgimento narrativo. E qui parlano del taglio di capelli come di un “rito” a cui deve sottoporsi in cerca di un rinnovamento esteriore, di una perfezione superficiale, di un equilibrio estetico esterno.

Proprio alla fine di questo dialogo si affianca un taxi alla limousine, dove viene inquadrata di profilo una giovane donna bionda. Packer scende e sale sul taxi e scopriamo che si tratta della moglie Elise (Sarah Gadon). Il primo incontro con la moglie (di tre che si avranno durante lo sviluppo narrativo del film) continua all’interno di una caffetteria dove fanno insieme colazione. Il tema principale del dialogo sarà il sesso, altra ossessione di Packer, che vuole fare con la moglie, ma che Elise rifiuta perché concentrata sulla sua poesia. Elise è una ricca esponente di una famiglia bene dell’Upper East Side di Manhattan e la sua unica occupazione è quella di fare la poetessa per alleviare la noia di essere miliardaria. Ed Elise, in questo freddo e tagliente dialogo con Eric, rinfaccia al marito di essere “visionario e pericoloso”, in quanto riesce a controllare le informazioni e a convertirle a suo uso e consumo.

In queste due sequenze introduttive, Cronenberg riesce a presentarci il protagonista del  suo Cosmopolis.  La dinamica diegetica ha il suo sviluppo nella terza sequenza (la più lunga della prima parte della durata di 26’) divisa in tanti quadri, tutta messa in scena all’interno della limousine che diventa alcova, ufficio, centro di controllo e di potere continuo, ipertecnologica centrale finanziaria, blindata e insonorizzata dall’esterno.

Packer incontrerà in diversi quadri distinti un operatore monetario, la consulente artistica, la direttrice finanziaria dell’azienda, un medico e la sua guardia del corpo.

In  questa sequenza abbiamo la messa in scena di un capitalismo finanziario virtuale, sempre connesso, dove Packer è un golden boy della finanza creativa. Packer si muove in un mondo “tenuto insieme da una serie di reti sovrapposte: reti di borse valori, di canali televisivi, di computer o di stati. Le reti sono luoghi di “flusso”: flusso di potere, capitale, informazione; un processo ormai essenzialmente libero da vincoli spaziali e temporali” (2).

Un capitalismo fatto di speculazioni monetarie e del resto lo stesso Packer ordina al suo giovane operatore monetario di 22 anni di puntare sul mancato rialzo dello yuan. E qui inizia tutto un gioco sul seguire i flussi e gli andamenti monetari e poi una dissertazione sul topo come nuova moneta. Che richiama la citazione in esergo “il topo diventò l’unità monetaria” di Zbigniew Herbert(3) e topi veri e di cartapesta si vedranno durante la prima parte di Cosmopolis, dove il viaggio di Packer sarà anche l’attraversamento di una città sull’orlo del caos politico-sociale. Dove il conflitto tra i pochi che hanno molto e i tanti che hanno poco è messo in atto, ma dove i due mondi sono separati.

Desiderio di possesso e moltiplicazione del denaro. La finanza virtuale come virus della dittatura dei bisogni consumistici.

Del resto Packer è in una bolla non solo finanziaria, ma circondata da cordoni e sistemi di sicurezza. La paranoia in un mondo fatto di incertezza diventa una regola, così come il possesso di qualsiasi cosa. Quindi da una parte i topi, dall’altra ascensori personalizzati, pista di elicotteri sul tetto del palazzo, cacciabombardieri comprati solo per il gusto del possesso, solo per guardarli e far dire a Eric: “E’ mio”. Il possesso è esplicitato anche attraverso il sesso e i rapporti che consumerà, prima con la sua consulente artistica e poi con una sua guardia del corpo, surrogati dell’impossibilità di possedere sua moglie.

Siamo in un mondo dove “l’unica scelta possibile” è “quella tra la dittatura del mercato e la dittatura del governo sui bisogni, come se l’unica forma di cittadinanza fosse quella basata sul consumismo. È questa (e soltanto questa) la forma che i mercati finanziari e commerciali sarebbero disposti a tollerare” (4).

“Cosmopolis” di David Cronenberg: la crisi e il disordine del capitalismo finanziario

Packer si muove in un mondo globalizzato, dove i mercati finanziari non chiudono mai e sono aperti sette giorni su sette, come spiega alla sua consulente artistica Didi Fancher (Juliette Binoche), il cui “motto è invece trasparenza (nel senso di un mondo che non ha segreti e che non pone ostacoli agli operatori di mercato) e flessibilità (nel senso che nulla (…) può porre limiti alla libertà di decisione degli operatori di mercato). (…) Trasparenza e flessibilità promettono maggiore certezza per alcuni (i “globali” per scelta) e maggiore incertezza per altri (i “locali” per necessità) (5).

Packer è il rappresentante di una classe dominante che trascende i confini terrestri delle nazioni e si pone al di sopra di essi, basati su “l’economia politica dell’incertezza” basato su “l’insieme delle regole per porre fine a ogni regola” imposte dalle potenze extraterritoriali della finanza, del capitale e del commercio alle autorità politiche locali” (6). Ed è anche la causa del caos che lo circonda, rimanendone assolutamente indifferente.

La scena è evocativa e conferma l’esercizio del potere e del possesso al di fuori di ogni regola. Packer continua nella sua volontà di possesso, chiedendo di acquistare l’intera cappella di Rothko. Didi Fancher dice che è impossibile acquistarla e gli propone un singolo quadro, ma Packer insiste dicendo di “offrire qualsiasi cifra”,  perché lui la vuole solo per lui e “se gli altri la vogliono vedere, che la comprino”.

L’arte contemporanea è rappresentazione del dramma dell’uomo moderno e in qualche modo è protestataria nei confronti di questa società basata sul denaro senza regole, ma in un cortocircuito esistenziale sono poi solo le persone della classe di Packer che si possono permettere le opere di Rothko, Pollock, Warhol, ecc., trasformando l’arte in merce da possedere a qualunque prezzo e non più da ammirare. E del resto, lo stesso Cronenberg allarga questa visione anche negli elementi extradiegetici dei titoli di testa e di coda in una rappresentazione che diviene metacinema: nei primi assistiamo alla macchina da presa che scorre in orizzontale, mentre sullo schermo appaiono schizzi di colore nel tipico stile dell’action painting di Pollock; mentre nei secondi, in dissolvenze incrociate (le uniche di tutte il film) alle opere di Rothko. Artisti simbolo, critici e vittime di un mondo che in qualche modo sfruttano e da cui vengono sfruttati fino alla morte e oltre (Pollock perde la vita in un incidente d’auto, mentre Rothko si suiciderà) (7).

Metamorfosi della realtà politica.  Il tempo del denaro e il denaro è tempo nel Cyber capitalismo.

Film intrinsecamente politico nella sua rappresentazione della crisi economica e sociale, è però nella quinta sequenza -  l’incontro di Eric con la consulente di “teoria” Vija Kinsky (Samantha Morton) -  che il discorso si esplicita in una messa in scena e in quadro lineare e dettagliata.

Vija spiega a Eric che ormai si vive in un’era di “cyber capitalismo”, dove i monitor sono diventati la finestra da cui guardare le trasformazioni della realtà, fatta con le cifre, poiché “nel cyberspazio si seguono percorsi indipendenti dalle strade lungo le quali procedono le altre persone” (8). E in effetti, la limousine si muove come una navicella cyber spaziale all’interno della realtà che sta scoppiando, fatta di incertezza, precarietà, insicurezza, “per cui vivere nell’incertezza ci appare un modo di vivere, il solo modo di vivere l’unica vita che abbiamo” (9). Fuori dall’involucro protettivo dell’auto, la folla esprime la propria insicurezza sociale in una rivolta, cercando di attaccare l’auto, ma venendo respinta e non riuscendo a penetrarla, ma solo a danneggiarla  e imbrattarla.

Nel frattempo, i numeri che scorrono sui  monitor sono la traduzione dello scorrere del tempo e il tempo diventa “denaro, il tempo è un bene aziendale” come afferma Vija. E “la visione del mondo propagata, intenzionalmente o no, con i messaggi che oggi provengono dall’élite colta, sottintende un tempo privo di dimensione storica: un tempo piatto, o un tempo circolare, continuamente riciclato, dove tutto va e viene senza cambiare quasi nulla, un tempo sempre uguale a se stesso” (10).

“Cosmopolis” di David Cronenberg: la crisi e il disordine del capitalismo finanziario

In effetti, la limousine di Packer si muove restando ferma. Packer, i suoi ospiti e lo spettatore con loro, vedono scorrere le persone, le strade, la folla attraverso i finestrini blindati della limousine, come in una sorta di schermo (televisivo?) anonimo che, a piacimento, si può oscurare o rendere trasparente. I sostenitori e gli appartenenti  alla trasparenza  sono degli ideologici dei “vetri a specchio: da una parte un paradiso per voyeur, dall’altra un’opportunità di guardare e contemplare la propria crescente miseria per coloro le cui difese (…) sono state messe a nudo a vantaggio” degli altri(11).

Del resto, Cronenberg in un dettaglio, che vediamo attraverso l’inquadratura del finestrino a fianco di Packer,  fa scorrere su un tabellone pubblicitario su un palazzo la scritta: “ Uno spettro si aggira per il mondo, lo spettro del capitalismo”; parafrasi del celebre incipit del Manifesto di Marx ed Engels(12), ma lì era uno spettro rivoluzionario, qui diviene sia l’affermazione di un potere che ormai è globale e onnicomprensivo sia la denuncia di un esercizio di potere basato sull’incertezza di un mercato finanziario che “prospera sull’incertezza (chiamata di volta in volta, competitività, deregolamentazione, flessibilità ecc.), e ne produce sempre più per il proprio nutrimento. (…) L’unica uguaglianza favorita dal mercato è una condizione identica o quasi identica di incertezza esistenziale, condivisa tanto dai vincitori (sempre, per definizione, tali “fino a ulteriore avviso”) quanto dai vinti(13).

A confermare l’incertezza che colpisce tutti, abbiamo un’altra inquadratura su un cartellone pubblicitario di un’auto dove si legge la frase tagliata “… ap out of it”. Il taglio dell’inquadratura è certamente voluta per dare un significato descrittivo ambivalente all’intera sequenza. Infatti, se ricostruiamo il claim pubblicitario per intero, è certo che il significato di  “Snap out of it” (reagire e scuotersi) sia indirizzato alla folla che si rivolta all’esterno dell’auto, mentre la frase monca “out of it” è rivolta a Packer e ai personaggi interni alla limousine (in una significato iconico dell’auto al quadrato) (14).

Vija nei suoi discorsi “teorici” parla al sicuro, ma non avendo coscienza fino in fondo di quello che sta dicendo, e ripete, come un tic verbale, “non capisco”. Vija, dunque, teorizza argomenti di cui non capisce, rappresentazione dell’impossibilità di comprensione degli eventi causati dalle operazioni che Packer compie all’interno del cyber mercato finanziario. Lo stesso Packer vive questa incertezza e da creatore di ricchezza personale, a scapito degli altri, diviene vittima delle sue stesse operazioni. Infatti, durante il viaggio scopriamo lentamente che la sua scommessa sullo Yuan non ha successo e lo porta alla rovina, alla perdita di tutto il suo patrimonio personale. Egli stesso diviene vittima dell’incertezza del mercato in cui opera, anche lui toccato dallo “spettro del capitalismo”.

Il viaggio verso l’autodistruzione.  Fenomenologia della malattia cyberfinanziaria.

Il viaggio di Packer è un percorso verso l’autodistruzione. Inizia pieno di potere e denaro, a capo di un’azienda finanziaria che porta il suo nome, in una limousine bianca e iperteconologica, dove anche il costume che indossa è perfetto. Poi, dopo che inizia la sua “operazione” sullo Yuan, lentamente, inizia la mutazione: perde per prima gli occhiali neri, poi la cravatta, poi la giacca, un pezzo di sé a ogni successiva sequenza e nello stesso tempo anche l’auto viene danneggiata, mentre inizia a perdere anche centinaia di milioni di dollari e il suo impero finanziario si sgretola come colpito da un virus interno da lui stesso inoculato.

Nella seconda parte di Cosmopolis, Packer non ha più nulla: ha subito anche l’attacco di un “pasticcere terrorista” che gli butta una torta in faccia. Arriva ad “aggiustarsi il taglio” dal barbiere dell’infanzia, ma se ne va prima del tempo, con i capelli malamente tagliati solo da un lato. Lascerà la sua limousine, ormai irriconoscibile, inghiottita dalla bocca di un garage.

“Cosmopolis” di David Cronenberg: la crisi e il disordine del capitalismo finanziario

Riprendendo l’interessante punto di vista di Claudio Bartolini (15), possiamo sostenere che Packer è il corpo untore di un virus finanziario distruttivo della società, non solo fisico, ma anche come simbolo della sua azienda, una multinazionale che diviene il centro dell’epidemia della crisi in atto nella realtà filmica.

Del resto, Packer può essere definito uno “scienziato” che lavora con la matematica (nella quarta sequenza, alla moglie spiega che a quattro anni ha calcolato il suo peso su ogni pianeta del sistema Solare), come Keloid, Brundle, Ruth, O’Blivion, i fratelli Mantle e tutti gli altri mad doctor al lavoro sulla modifica della realtà.

La sua limousine è la capsula di Brundle de La Mosca, anche qui teletrasporta nella città muovendosi senza muoversi e anche qui qualcosa non va e si attua una mutazione.

Nella lunga terza sequenza, durante il suo checkup medico quotidiano, il dottore gli dirà che ha una “prostata asimmetrica” che rimanda all’utero malformato di Claire Niveau in Inseparabili. Come lì la mutazione era la metafora della divisione dei gemelli che li porterà all’autodistruzione, Packer ha in sé la mutazione che lo porterà alla sua di autodistruzione.

Packer quindi agisce modificando la realtà inoculando virus finanziari per aumentare il suo potere e la smania di possesso, virus di cui perderà il controllo, come succede per tutti gli altri mad doctors nella filmografia croneberghiana, diventandone anche lui vittima. Anche in Cosmopolis il sesso è una forza generatrice e distruttrice allo stesso tempo: quando Packer subirà la visita proctologica, l’intera scena sarà girata in modo che sia di fronte a Jane Melman (Emily Hampshire), direttrice finanziaria della sua azienda, seduta nella limousine, sudata e mentre stritola una bottiglia di plastica. Una scena di sesso estremo, sesso parlato, idealizzato, sublimato e delegato, una summa e sintesi tematica che rimanda a tutte le opere precedenti e che in qualche modo rappresenta la messa in scena di una nuova sessualità in Cosmopolis. Come in Parasite Murders, – dove il parassita creato da uno scienziato si diffondeva nella comunità di Starline Towers (facendo crollare qualsiasi tipo di inibizione e dove alla fine tutto era sessuale, anche la morte) –  in Cosmopolis  per Packer, colpito dal virus da lui stesso creato, sessuali lo sono anche i freddi numeri che scorrono sui terminali o i movimenti finanziari di cui discute con  Jane Melman.

Disfacimento del corpo sociale: la fine del viaggio filmico.

Siamo alla fine del viaggio.

Nell’ultima sequenza – la settima, lunga 21’ – Packer armato incontra la sua nemesi Benno Levin (un Paul Giamatti in stato di grazia), un vecchio collaboratore licenziato di cui non sa nulla, derelitto, che vive in un caseggiato periferico allo sfascio, che vuole ucciderlo, perché deve, perché lui, Packer, non è riuscito a salvarlo dal suo fallimento economico e personale.

Ormai siamo al disfacimento dello spazio, immersi  -  come teorizza Gianni Canova  –  in un set trasformato in un corpo organico al lavoro (16), dove regna la sporcizia e il caos.

“Cosmopolis” di David Cronenberg: la crisi e il disordine del capitalismo finanziario

Packer e Benno hanno un duello verbale sulla responsabilità della malattia che li ha colpiti e ha colpito la realtà. Benno ancora una volta spiega come Packer doveva sentire la “sua prostata asimmetrica”: lui, alla continua ricerca della simmetria dei numeri, sbaglia nel valutare lo Yuan che è imprevedibile e, appunto, si muove nel mondo finanziario in modo asimmetrico.  L’imprevedibilità del caos causato dal virus creato da Packer stesso.

Benno non è altro che una proiezione nel futuro (42 anni contro i 28 anni  di Eric) di Packer: un alter ego, una mutazione.

Siamo nei pressi di nuovo del set di La Mosca, di Inseparabili, di Videodrome. Packer si spara a una mano, “mano bucata” fisicamente, dolore della perdita di tutto ciò che possedeva. Benno vuole uccidere Packer, lo vuole eliminare, in quanto untore del virus che ha prodotto la realtà in disfacimento. Il capitalismo finanziario è morente, ma ancora non è morto e noi tutti abbiamo una pistola puntata alla nuca, quella che Benno punta alla nuca di Packer in un lungo primo piano prima dello stacco sullo schermo nero, senza bisogno di sentire lo sparo imminente.

Il finale di Cosmopolis sembra riecheggiare la scena finale di Videodrome, dove con una pistola puntata alla tempia Max Renn urla “morte a Videodrome; gloria e vita alla nuova carne”, in un continuo fil rouge stilistico e tematico, in cui pulsione scopica e rappresentazione della mutazione del corpo sociale diventano materia di creazione artistica e interpretazione della realtà.

Cosmopolis è un pamphlet anticapitalistico, un essai sulla mutazione psicologica e fisica dell’uomo di fronte al potere incontrollato del dio denaro. È una tela sul disordine della nostra società, filmata con colori cupi e freddi e sporchi. Un film profondamente cronenberghiano, urgente e immanente.

Antonio Pettierre


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