La giornata di Packer che ci racconta Cronenberg lungo l'arco della pellicola, si snoda infatti come una serie di "quadri" (invero del tutto svincolati l'uno dall'altro, cosa che contribuisce in massima parte al surrealismo della messinscena) di personaggi che di volta in volta salgono sulla iperlimousine e interagiscono dialetticamente con il protagonista (il quale a sua volta di tanto in tanto scende e si incontra con la bella moglie poetessa alla quale peraltro chiede sempre e solo di fare sesso), mentre una minaccia dai contorni non identificati incombe sulla città-mondo e sul protagonista-capitalismo, facendosi sempre più spessa, pesante e presente, fino al drammatico confronto finale (applausi a Paul Giamatti). Dunque sono i dialoghi - e non le azioni - a fare da perno a questa vicenda e che emergono da questa sorta di viaggio iniziatico inverso, a ritroso nell'esistenza di Packer (l'incontro col barbiere è per lui una specie di ritorno all'infanzia), che fungono da specchio e, nel confronto con i disordini che stanno accadendo fuori e di cui la limousine porta sempre più i segni, conducono il protagonista a scavare nelle tematiche di una vita parossistica che cerca di sfuggire al nichilismo glaciale trasfigurato nella riuscita maschera di Pattinson, attraverso il possesso esclusivo di cose grandiose ancorché inutili (la Cappella Rothko), nell'illudersi di poter battere lo scorrere del tempo accarezzando così, di fatto, un'illusione di immortalità e quindi di divinità (il check-up medico quotidiano, che ha un acme che non rivelo, ma che è senza dubbio la scena migliore del film), di fare coincidere il piacere supremo con il sesso nell'incapacità di costruire un qualsiasi altro tipo di relazione (il rapporto con la moglie).
La giornata di Packer che ci racconta Cronenberg lungo l'arco della pellicola, si snoda infatti come una serie di "quadri" (invero del tutto svincolati l'uno dall'altro, cosa che contribuisce in massima parte al surrealismo della messinscena) di personaggi che di volta in volta salgono sulla iperlimousine e interagiscono dialetticamente con il protagonista (il quale a sua volta di tanto in tanto scende e si incontra con la bella moglie poetessa alla quale peraltro chiede sempre e solo di fare sesso), mentre una minaccia dai contorni non identificati incombe sulla città-mondo e sul protagonista-capitalismo, facendosi sempre più spessa, pesante e presente, fino al drammatico confronto finale (applausi a Paul Giamatti). Dunque sono i dialoghi - e non le azioni - a fare da perno a questa vicenda e che emergono da questa sorta di viaggio iniziatico inverso, a ritroso nell'esistenza di Packer (l'incontro col barbiere è per lui una specie di ritorno all'infanzia), che fungono da specchio e, nel confronto con i disordini che stanno accadendo fuori e di cui la limousine porta sempre più i segni, conducono il protagonista a scavare nelle tematiche di una vita parossistica che cerca di sfuggire al nichilismo glaciale trasfigurato nella riuscita maschera di Pattinson, attraverso il possesso esclusivo di cose grandiose ancorché inutili (la Cappella Rothko), nell'illudersi di poter battere lo scorrere del tempo accarezzando così, di fatto, un'illusione di immortalità e quindi di divinità (il check-up medico quotidiano, che ha un acme che non rivelo, ma che è senza dubbio la scena migliore del film), di fare coincidere il piacere supremo con il sesso nell'incapacità di costruire un qualsiasi altro tipo di relazione (il rapporto con la moglie).
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