Un piano che tassa fortemente tutte le attività private, cominciando da quelle più produttive, che penalizza gli investimenti stranieri e che, ancora una volta, privilegia la macchina statale. A pagare però il prezzo più caro saranno le classi meno abbienti, che si troveranno a dover addossarsi il debito dello Stato pagando un 14% più caro tutti i servizi e la maggioranza dei generi di consumo. A rendere possibile la riforma è stato l’improbabile accordo tra lo storico partito centrista di Liberación Nacional, il gruppo fondato da Pepe Figueres all’indomani della rivoluzione del ’48, e il progressista Pac (Partido de Acción Ciudadana), espressione della sinistra moderata. Una scelta, quella del Pac, che lascia l’amaro in bocca al suo elettorato: risulta paradossale infatti, che sia lo stesso partito, che aveva fatto della lotta contro il Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti la sua bandiera, ad essersi fatto ora portavoce di una riforma che cadrà come una mazzata sulla classe lavoratrice.
Il governo di Laura Chinchilla, l’attuale presidente eletta con i voti di Liberación Nacional, deve fare i conti con un deficit fiscale che l’anno passato si era fissato attorno al 5% del prodotto interno lordo, circa 1340 milioni di dollari. Ma la morsa tributaria con la quale si vuole risolvere il buco, rischia di trasformarsi in un boomerang: secondo il Cinde, un’agenzia locale per lo sviluppo, solo la discussione nel Congresso del piano impositivo ha frenato gli investimenti stranieri di almeno una decina di aziende straniere. Senza contare l’avvertenza che hanno fatto le multinazionali presenti nelle zone franche, che sono pronte ad abbandonare il Paese nel caso la loro produzione dovesse venire tassata come è nelle previsioni.
Intanto, il ¨plan fiscal¨ ha deviato l’attenzione ancora una volta dai problemi seri della realtà quotidiana costaricana, dalla penetrazione del narcotraffico alla corruzione, dalla sicurezza al peso sociale di un sistema politico dove vige il clientelismo come regola inalienabile. La Chinchilla, una politologa di 51 anni, è presidente da un anno e mezzo, periodo durante il quale si è caratterizzata per una forte demagogia che non è stata accompagnata da risultati pratici. L’energica campagna per approvare la riforma tributaria appare quindi all’opinione pubblica come l’ennesima manovra per salvaguardare i privilegi della casta politica e, soprattutto, quelli delle entità governative sotto cui si riparano migliaia di funzionari ricchi in benefici e vantaggi di categoria. E la sensazione dell’uomo della strada è proprio questa, quella di uno Stato alle corde che tenta di difendere con tutti i mezzi a disposizione la propria struttura clientelista contro una popolazione inerme, obbligata a foraggiarlo e a mantenerne i vizi e la perversione del sistema.