La radio trasmetteva una canzone del passato, la barista passava uno straccio sul bancone umido. Il bancone era di legno e sudava come tutti loro, stille di alcolici e caffè, e acqua che evaporava al contatto con la superficie rovente. Era estate, un’estate torrida; ma quel gospel del passato cadenzato non cedeva all’afa. La barista si muoveva a ritmo di musica, passando lo straccio avanti e indietro, rallentando quando la voce diventava malinconica, sottolineando gli arpeggi della chitarra con movimenti dolenti dei fianchi. Senza accorgersene si trovò a improvvisare un mezzo balletto, sempre dietro il bancone, sempre sudata e stanca, battendo le dita sul legno e ticchettando il tempo che l’orologio sporco alle sue spalle non si decideva a far trascorrere. Entrò il primo cliente di quel pomeriggio e le chiese una limonata gelata; e lei si sentì in un saloon del New Mexico: guardò per un attimo l’uomo dalle occhiaie incavate nelle rughe e lo servì facendo scivolare il bicchiere verso di lui.