30° alle otto e mezza di mattina. La prospettiva di attraversare il piazzale del parcheggio dell’azienda dove lavoro è devastante. Vedo le dune tra le auto, ed un cespuglio rotola festoso arso dai raggio di un sole Sahariano. Per fortuna
O meglio, le idee prima chiare e cristalline come una statua di ghiaccio, si fanno opache, distanti e lattiginose. Sono invitanti come un piatto di minestra bollente, con tanto di macchie d’olio a galleggiarci sopra. Roba che solo all’idea di toccare la tastiera, al creativo gli si accappona la pelle.
Gli avambracci si fanno appiccicosi, ed i tasti della tastiera che prima si facevano picchiettare allegri, ora sono indolenti e fastidiosi come un impiegato delle poste alle 11.58. Non ci sono storie. Il caldo ammazza la creatività. E se non ce la fa, quantomeno la stordisce, la anestetizza, le fa mobbing. E le idee si ritirano in un angolino buio a frignare e a muovere la testa a scatti come se fossero autistiche.
Anche se una certa iconografia vuole gli scrittori piazzati in qualche paradiso tropicale, in bermuda e canottiera a sorseggiare un bel cocktail con l’ombrellino, devo dire che sarebbe più adeguata forse l’ambientazione dentro un igloo, con tanto di foche e pinguini sullo sfondo. Che il freddo faccia avvicinare i neuroni tra di loro per scaldarsi e quindi si scambino impulsi in modo più veloce?
Nel dubbio lo scrittore wannabe si violenta e scrive comunque, anche se pagini fluiscono più lente e meno brillanti. Vorrà dire che la fase di revisione (l’odiosa fase di revisione) dovrà essere più attenta e fiscale.