Credere, allenare, dimettersi

Creato il 03 aprile 2013 da Federico85 @fgwth

Paolo Di Canio, oggi allenatore del Sunderland, ritratto quando era un giocatore della Lazio. Qui fa il saluto romano ai tifosi laziali dopo un derby del 2005 vinto 3-1 contro la Roma (guardian.co.uk)

«Fascista». Così David Miliband, ex deputato laburista ed ex ministro degli Esteri ai tempi di Blair, ha definito Paolo Di Canio. Appena assunto dal Sunderland, squadra di Premier League inglese, per cercare di evitare la retrocessione nelle ultime sette giornate di campionato, l’ex giocatore di Lazio, Juve, Napoli e Milan ha già scatenato  – questa volta indirettamente – l’ennesimo pandemonio. David Miliband (fratello di Ed, attuale leader del partito laburista britannico) appena saputa la notizia della nomina dell’allenatore italiano si è dimesso dalla carica di direttore non-esecutivo del club inglese.

In un comunicato sul suo sito, Miliband ha annunciato: «Auguro al Sunderland un futuro di successi. È una grande istituzione che ha fatto tanto per il Nord Est e faccio tanti auguri alla squadra per le prossime sette, vitali, partite. Tuttavia, alla luce delle dichiarazioni politiche fatte in passato dal nuovo manager, penso che sia giusto lasciare». Di Canio, da parte sua, ha risposto con una nota: «Può darsi che sia successo qualcosa molti anni fa ma quello che contano sono i fatti. La mia vita parla per me. Ovviamente mi ferisce il tentativo delle persone di attaccare la mia dignità perchè non è corretto».

Furibonda è montata la polemica sia in terra d’Albione che in quella italica: Di Canio fascista? Miliband eccessivo? Liberi entrambi di agire come credono? Nel magma indistinto delle voci e delle opinioni più disparate, è bene tenere presente pochi, semplici punti:

  1. Di Canio fascista lo è e lo è sempre stato. Chi non è fascista non si tatua Mussolini e la scritta DUX sul bicipite destro. Chi non è fascista ai tempi della Lazio non fa il saluto romano ai tifosi della Nord dell’Olimpico, notoriamente schierati su posizioni di estrema destra. Che poi ogni tanto rinneghi la propria appartenenza prima che il Duce canti è un piccolo accorgimento pragmatico per evitare noie e fastidi a livello mediatico.
  2. Visto il punto numero 1, sarebbe giusto discrminare Di Canio a priori solo per le sue posizioni politiche? La risposta deve essere: no. Proprio in nome dei valori democratici e di tolleranza che si vogliono difendere, ostracizzare Di Canio perché convinto magari -come molti, di fatto – che “Mussolini abbia fatto bene e che l’errore siano state le leggi razziali” (idiozia che, per inciso, è forse peggio dell’apologia totale del fascismo) sarebbe sbagliato. Le risposte al fascismo, che in tempi di crisi economica generalizzata storicamente prolifera, non possono essere l’esclusione preventiva e la ghettizzazione ma devono essere lo studio, la critica e  lo smascheramento di un’ideologia che di buono a conti fatti non ha portato proprio nulla e che ha nell’intolleranza della diversità la sua principale caratteristica.
  3. David Miliband ha tutto il diritto di dimettersi, così come il Sunderland ha tutto il diritto di assumere Di Canio. Definire “fascista” la scelta di Miliband, come qualche originale libero pensatore ha pensato di fare, è un virtuosismo eccessivo figlio più del narcisismo che di una analisi lucida. D’accordo sul tenere divisi calcio e politica e che adorare Mussolini non significhi automaticamente allenare bene/male, ma sempre in nome dei valori democratici che si vogliono preservare la decisione di Miliband va rispettata e garantita. Miliband non ha detto “o lui o me” oppure “cacciatelo immediatamente”. Ha solo definito incompatibile la propria carica dirigenziale con l’arrivo del tecnico italiano e del suo bagaglio ideologico. Anche perché il Sunderland, squadra che sostiene, è sempre stata tradizionalmente supportata da una tifoseria “operaia” con simpatie socialisteggianti, alquanto diffuse nel Nord-est britannico delle miniere.

Di Canio, in maniera poco fascista e molto paraculista, continua a negare ogni addebito e a rifiutare di rispondere a domande sulla politica volendosi concentrare sul calcio. Un “me ne frego” dettato più dal pragmatismo che dalla scintillante volontà che si autoafferma. Resta il mistero di una dichiarazione (poi smentita) resa all’Ansa italiana in cui si definisce “fascista sì, ma razzista no”. Tobias Jones, sul Times, ha meravigliosamente fotografato la questione: «Sono un grande fan di Paolo Di Canio come calciatore. Ha giocato benissimo nel Wast Ham e ha dato grandi dimostrazioni di fair play. Ma la sua visione politica non mi piace. Dice di essere fascista, ma non razzista. Mi dispiace, ma è come dichiarare di essere una volpe, ma di non essere carnivori».



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