Non voglio entrare nelle questioni politiche (che seguirono all’efferato omicidio) e neanche a quelle religiose.
Qui mi interessa evidenziare il coraggio e la coerenza di un uomo capace di morire per ciò in cui egli crede.
Di fronte agli eccidi del popolo innocente, di fronte ai desaparecidos, di fronte alle azioni cruente di gruppi armati che agivano per il potere, Mons. Romero, armato solo del suo bastone di pastore della Chiesa gridò a quegli uomini di smetterla di uccidere, di cessare ogni violenza, di deporre le armi. Prima li supplicò, poi glielo ordinò in nome di Dio.
Lo uccisero sull’altare, come un agnello sacrificale.
Non m’importa sapere di più. Cercare giustificazioni alla violenza è contro il credo di ogni pacifista, di qualunque estrazione, laica o religiosa, cristiana o hinduista, cattolica o buddhista poco importa.
Mons. Romero poteva starsene tranquillo, nell’ignavia in cui stazionano tanti “Don Abbondio” di ogni luogo e di ogni tempo.
E invece no! Pur sapendo che sfidava la morte, puntò il dito accusatore contro gli empi!
Attenzione però: non pensiamo che il coraggio di ribellarsi contro il male spetti solo agli uomini di Chiesa.
Lottare contro il male è un dovere di tutti noi: nel piccolo come nel grande.