L’Alpago ci ha affascinato, è indubbio. Dopo il Col Mat i eravamo ripromessi di tornare per fare un’altra cima.
E l’occasione si è presentata subito, con una bella settima pre autunnale, trasparente e già con quel frizzante mattutino che promette vette senza nubi.
Ed allora, Crep Nudo.
Ci vorrà pazienza
Il Crep Nudo lo conosciamo bene. Un montarozzo a panettone, bianco e calvo come la testa più calva, raccontato sull’agenda di bivacco dagli arditi che dormono al bivacco Val Zea per appendercisi poi la mattina dopo. Lo si vede dalla Val Cellina e gli si può accarezzare l’alluce dalla Valle Chialedina.
Ma stavolta non si trattava di riverenti prostrazioni ai suoi piedi o di fargli appena il solletico, si trattava di puntare dritto alla sommità di quella crapa pelata.
A metà mattina arriviamo al Casone Crosetta, ben ristrutturato e con un’ottima fonte e puntiamo dritto per la Venal di Funes.
Il progetto è ambizioso: arrivare in cima al Crep Nudo macinando senza ripensamenti 1100 metri di dislivello per poi mettersi in cresta e puntare alla sommità del Cappel Grande, proseguire ancora in cresta, raggiungere il Dente di Venal, proseguire fin quasi alla forcella del Venal e scendere per la sua valle.
Insomma un tre per uno con un cambio di prospettiva.
Casera Venal
Questo l’intento ma, onestamente, lasciamo margine alle possibili prese di posizione delle nostre gambe o al nostro calo di attenzione.
Ai primi metri cominciamo a chiederci dove sia il Crep Nudo. Da sotto non si riconosce la cima, o meglio, io non riesco a capire quale sia e così ci giochiamo la cena della sera. Chi perde paga.
Raggiungiamo un gregge di pecore alla casera Venal e salutate quelle, dopo un tratto su carrareccia forestale, ci infiliamo nel bosco.
Il primo ghiaione
Non ci vorrà tanto perché si comincino a trovare prime lingue di frana. Bianche pietre che ancora seguono la loro corsa ruzzolando al nostro passaggio, squarci triangolari, nel verde del bosco. Aquiloni bianchi che puntano direttamente verso il sidereo blu da tubetto di acrilico.
Incontriamo cacciatori, quattro.
La caccia è aperta e ci forziamo a salutare. Mi chiedono se son stanca. In cuor mio avrei molte cose da argomentare con loro ma mi ritrovo a rispondere con un sorriso e con due battute. Potere del fucile che portano addosso.
Ripenso con spavento e preoccupazione all’incontro della mattina: un capriolo, una femmina, in fuga sfrenata, ci aveva attraversato la strada per sparire poi velocissima nel boschetto.
Cerco di fermare la sua immagine che continua a saltare davanti al cofano, troppo vicina, fermarla e guardarla negli occhi, rassicurarla e poi urlarle di fuggire lontano da lì.
Si sale e si sale e Andrea comincia a pregustarsi l’idea della vittoria: il sentiero comincia ora a guadagnare quota puntando verso destra, ma della cima non c’è ancora traccia.
La vegetazione si fa rada e dopo i mughi non c’è che una pietraia lunare.
Le buse
Impossibile togliersi gli occhiali da sole.
Le racchette graffiano la pietra. Vedo Andrea salire, con la sua andatura regolare, inesorabile.
Si ferma, mi aspetta vicino alla bocca di un crepaccio che rivela uno sprofondamento carsico di almeno sei metri. Il posto è segnalato, in Tabacco come “Le buse”. Capiamo il perché.
Le conformazione carsiche sono spettacolari. Drappeggi candidi da scenografia teatrale, buchi senza fine. Un inferno abbacinante.
Avvistiamo un cartello da lontano.
I segnavia CAI sono radi ma la strada è chiara: su, si deve andare su finché non finirà il su.
Arriviamo a 2000 metri circa: l’incrocio con l’Altavia 7.
Ci rassicuriamo “Ah, ma siamo riusciti ad arrivare qui in due ore? Bene! La segnaletica a valle dava tre ore e mezza, siamo in anticipo sulla tabella di marcia”.
Si valuta che abbiamo ancora quadricipiti e polpacci da spendere e quindi accarezziamo l’idea dell’ascesa alla vetta del Crep e alle due altre montagne.
Carsismi e vetta
Crep Nudo 2207 metri, dice la segnaletica bugiarda sotto il tetto della piccola conformazione aggettante che abbiamo tenuto come punto di riferimento durante tutta la salita e sotto la quale riprendiamo un attimo di fiato. Segna l’altimetria della cima, ma cima è duecento metri più in su.
Una cima che a vederla da sotto non fa proprio “vetta che svetta”, in verità si nasconde, come se la montagna fosse concava, come se questo Crep fosse davvero una sfera.
Si svolta l’angolo e cominciamo da subito a capire dove ci aspetta tutta l’ora che speravamo di aver guadagnato.
Tre passi avanti e due indietro. Procediamo lenti sullo sfasciume detritico in forte pendenza cercando di stare in equilibrio sulle punte, cercando le rocce più grosse e stabili, senza avvicinare le mani ai sassi affilati come rasoi. Ad Andrea è bastato appoggiare un ginocchio per guadagnare un salto fra le rocce, per aprirsi un ginocchio a croce. Ci dividiamo, procedendo in silenzio, ognuno immerso nel suo piccolo universo di sassi e passi.
Ma quei passi non si devono guardare. Gli scarponi palleggiano con la sagoma, delle casera, mille metri più in sotto.
La ghiaia smette di franare, ritorna il silenzio. Andrea si è fermato. Salgo ancora e lo intravvedo, un mezzo busto senza zaino, le mani lungo il corpo. Lo chiamo, non risponde, lo chiamo, non si muove. Salgo ancora guardando le punte dei miei scarponi, ancora pochi passi e poi lo cerco nuovamente. E’ ancora lì, immobile. Dietro di lui si profilano le vette della Valcellina. Salgo e queste mi vengono incontro facendosi riconoscere, una ad una. Butto lo zaino sotto la croce e corro per la pietraia della sommità contano le quinte e cercando nella mia memoria nomi e fisionomie.
Andrea è sempre lì, fermo, perfettamente integrato con il paesaggio. Guardo giù, filmo. Le pendici di questo bestione degradano con un salto di più di 900 metri verso la val Prescudin.
Lago di Barcis
Casera Venal e Lago di Santa Croce
Pelmo
Campanile di Val Montanaia
Facciamo foto e diamo fondo al cestino della merenda.
Il sentiero di cresta verso il Dente di Venal – Sullo sfondo Cima Manera
Controlliamo a vista il percorso che dovremo fare al rientro, decidiamo di provarci, con qualche dubbio sul tempo e sull’impegno della cresta. Scendiamo scivolando e saltando dove possibile, verso la roccia del cartello ottimista e puntiamo poi verso sud ovest, verso il Dente del Venal esponendoci ad un vento di evoluzione che tira costante.
Il percorso in cresta è bello da togliere il fiato. Il dirupo sotto di noi è strapiombante e non se ne vede la fine. Alcuni mughi sopravvivono artigliandosi alle rocce del ciglio che porta al vuoto.
Sentiero di cresta
Allontanandoci vediamo dietro di noi prendere forma la canuta sagoma del Crep. Un alfiere bianco illuminato dal sole traverso che preannuncia sera.
Crep Nudo dal Cappel Grande (2071 m/slm)
Prendiamo quota, perdiamo quota, riacquistiamo quota, la riperdiamo a cinquanta, settanta metri per volta. Vi rimaniamo per un’ora e mezza finché non ci arrampichiamo sul Capel Grande (2070 m=slm). Non ci concediamo nemmeno un minuto di pausa. Il tempo di percorrenza che ci rimane e il saliscendi cominciano a preoccuparci un po’: il percorso è ancora lungo e l’attenzione potrebbe calare. Dopo due ore siamo sotto al Dente di Venal e puntiamo verso la forcella, Il Crep oramai è lontano. Poco prima della forcella troviamo – e finalmente – dei cartelli divelti che puntiamo verso il basso. Ora ci aspetta tutta la valle che terminerà nel boschetto sopra Casera Venal.
Dalla dorsale del Venal un gregge ci chiama.
Affacciate al dirupo, le pecore ci lanciano un belato interrogativo. Rispondiamo, rilanciano, proviamo ad attaccare bottone ma evidentemente non riusciamo a dir nulla di comprensibile perché smettono e si guardano perplesse. Scendiamo abbastanza velocemente passando dal ghiaione alle rocce più grandi, alle rocce con terra, con terra ed arbusti, con arbusti e rovi, con rovi e alberi fino a tornare in bosco.
Siamo stanchi, le gambe girano da troppe ore e l’acqua fredda della fontana del Casone Crosetta ci rimette in vita, o – almeno – ci offre un’autonomia sufficiente per raggiungere casa.
Destinazione Crep Nudo Attacco Venal di Funes, Casone Crosetta
Condizioni atmosferiche bellissimo! Discesa Venal di Funes, Casone Crosetta
Altitudine minima m 1156 s.l.m. Topografia 012
Altitudine max
m 2207 s.l.m.
Sentieri CAI
933
Altavia 7
Ore di marcia
Tempo trascorso: 07:27:15
Velocità media: 1,2 km/h
Ritmo medio: 49,1 min/km
Velocità max: 5,3 km/h
Località
Puos d’Alpago
Totale uscita
ore 9 circa
Lunghezza 9,1 km Percorso CLICCA QUI
Compagnia
Andrea, io
Giudizio
Pericoli Nessun punto di appoggio in quota Note percorso lungo
Qualità
discretamente segnalato
Acqua
al Casone Crosetta