Ci eravamo stati qualche anno fa, ma la cima era rimasta in sospeso causa maltempo. In quella occasione il bivacco Lomasti ci fu da riparo prezioso. La Creta di Rio Secco è sempre rimasta tra le cime da raggiungere. Di tempo ne è passato parecchio ma Marisa la nominava spesso. Approfittando della bella giornata e delle ferie che vanno ormai esaurendosi, sfruttando la spinta rigenerante della vacanza in Val di Funes, forse oggi è la giornata giusta.
Il vallone di Rio Secco lo percorriamo sempre seguendo il sentiero 440 fin sotto la pietraia finale. Una marmotta ci osserva da lontano, emette il suo saluto e poi se ne va nascondendosi tra i sassi. Uno scatto da lontano è l’unica testimonianza, niente gloria per lei oggi. La rampa fino a poco prima della Sella di Aip mi fa sudare un po’. Il sole non scherza, meno male che soffia una leggera arietta. Superiamo il bivio per il bivacco Lomasti per raggiungere il segnavia 432 proveniente dalla Sella di Aip. Siamo soli, fino ad ora non abbiamo incontrato nessuno. Giù nel vallone un escursionista in compagnia del suo cane, saranno gli unici che assieme a noi oggi raggiungeranno la solitaria cima. Bellissimo il colpo d’occhio e il contrasto cromatico di colori tra il verde del fondo valle, l’azzurro intenso del cielo e il bianco candido delle rocce calcaree. La Creta di Aip come sempre fa la sua bella figura. Ci sembra un buon posto per un’altra breve sosta.
Il traverso e una breve salita sul sentiero ghiaioso ci portano sotto le pareti della Creta di Pricotic. Raponzoli, campanule, sassifraghe e potentilla rosea cercano di dare un po’ di vita ad un desolato altopiano carsico. Per un po’ seguiamo la mulattiera di guerra, un cartello e una scritta su un masso indicano la direzione della nostra meta che già ci appare solitaria e interessante. Prima di raggiungere la forca dei Claps dove il sentiero scende verso Studena Bassa, si piega a destra e destreggiandosi tra resti di fortificazioni, grossi massi e sculture di rocce disegnate dal tempo e dall’acqua, facendo affidamento su ometti e segni rossi in parte sbiaditi ci divertiamo a risalire abbastanza agevolmente le roccette della cresta Nord-Est, punteggiate da fioriture pioniere.
Il panorama va via via ampliandosi, viste inusuali sulla vicina Creta di Aip e sullo Zermula, sulle adiacenti cime del Cavallo e della Creta di Pricot si fanno sempre più evidenti, quando le rocce lasciano inaspettatamente posto al dolce verde pianoro sommitale della vetta dove un semplice ometto di pietra ci accoglie. Il panorama sui monti del Pontebbano è di sicura eccezione e il tempo ci è stato amico. Viene però spontaneo chiedersi perché tale meta di piacevole e remunerativo approccio, ricca di storia e di fenomeni rocciosi paragonabili seppur in dimensione minore all’altipiano del Canin, sia così poco conosciuta e poco frequentata. Ci aspettavamo una croce e un libro di vetta. La cima è comunque raggiunta e l’emozione è sempre molto bella. Brava Marisa, anche stavolta ha scelto bene. Uno sguardo di qua, cime già raggiunte, uno sguardo di là, altre che saranno mete future e poi la pace, il silenzio della vetta, interrotto solo dal suono della campana che qualcuno ha raggiunto sulla sommità del Cavallo. Poi ancora silenzio, solo noi e l’escursionista con il suo fido compagno. Guardiamo verso il cielo azzurro e verso la cima delle montagne e la contemplazione si presenta distintamente, si rinnova di volta in volta, lasciandoci l’incondizionata autonomia di decidere quale spazio possa contenere la libertà.
La cima merita tutto il tempo che ci vuole, poi però viene il momento di scendere, di ripercorrere il sentiero in senso inverso. Dedichiamo un po’ di tempo alla visita di resti di guerra. "Al è un splaz plen di stelutis, dal mio sanc l’è stat bagnat". Improvvise e inaspettate spuntano in ciuffi sulle rocce.
Intanto il tempo passa e manca ancora un bel pezzo. Spiace non ripassare di nuovo al bivacco per lasciare una traccia del nostro passaggio, ci sarebbe voluto poco, ma la strada è lunga. Scendiamo la pietraia e ripercorriamo il vallone tra fischi di marmotte a volontà, in direzione della casera di Aip per poi ripassare per le Busate. Ancora luci e colori, passi ed emozioni, mucche curiose. Neanche la vipera a cui ho quasi messo il piede sopra può cambiare il ricordo dell'escursione di oggi.
Secondo me e anche secondo Marisa una bella cima, un percorso vario e divertente, ricco di testimonianze e ingiustamente poco frequentato.