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Crimea: una buona scusa per aumentare il prezzo del gas in Italia?

Creato il 20 marzo 2014 da Webnewsman @lenews1
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Pubblicato da Paolo Somà

Ne avevamo già avuto un assaggio nel 2006 e nel 2009, quando – a seguito di quella che era stata battezzata impropriamente “guerra del gas” tra Russia ed Ucraina – i rubinetti dei gasdotti erano stati chiusi parzialmente o del tutto, con la conseguenza che Gazprom aveva fornito percentuali di gas inferiori a quelle pattuite: Ungheria, Slovacchia e Bulgaria erano rimaste a secco, repubblica Ceca e Romania avevano ricevuto il 75% in meno, la Francia il 70%; Turchia, Grecia e Macedonia avevano subito un taglio del 90% esattamente come l’Italia che, appunto, aveva ricevuto solamente il 10% del quantitativo normale.
All’epoca c’era stato un sospetto rimpallo di responsabilità: I russi sostenevano che Kiev aveva proditoriamente chiuso tre dei gasdotti che mettono in comunicazione le pipeline tra la Russia e l’Europa. Secondo Gazprom gli ucraini rubavano il gas destinato all’Europa. A loro volta l’Ucraina, all’epoca ancora integra, ribatteva che i russi non spedivano il gas per fare pressioni sull’Europa, la cui ingerenza nelle questioni interne ucraine, era già mal tollerata da Putin e Medvedev.

Nel 2009 l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni aveva rassicurato che la riduzione delle forniture non era un problema “in quanto l’Eni aveva realizzato una politica di diversificazione degli approvvigionamenti e di potenziamento degli stoccaggi tale da permettere all’Italia di avere una sicurezza energetica in linea e anche superiore a quella di altri Paesi europei”.
Oggi, a pochi giorni dall’annessione della Crimea alla Russia, Scaroni non è più così ottimista ed ha dichiarato al Financial Times che “L’Europa si troverà ad affrontare problemi nelle forniture di gas e prezzi più elevati il prossimo inverno, se le tensioni con la Russia comporteranno l’interruzione dei flussi di gas attraverso l’Ucraina” aggiungendo che “Italia, Austria e Germania del sud sarebbero particolarmente a rischio, dato che i loro mercati sono molto esposti al gas russo via Ucraina”.

La cosa strana è che, rispetto al 2009, la situazione delle forniture di gas in Europa è cambiata e questo Scaroni dovrebbe saperlo, anziché dipingere il quadro generale a tinte fosche, facendo sospettare che esista la (malcelata) volontà di aumenti in bolletta non direttamente connessi con la crisi in Crimea, ma che la crisi in Crimea maschererebbe benissimo.

L’Europa, infatti, non è più così dipendente dal gas russo come nel passato: I principali paesi europei sono legati alle importazioni di gas russo per una quantità non superiore a circa un terzo del totale (la Germania, con il 39 per cento, mentre Spagna e Regno Unito fanno completamente a meno del gas russo). Senza contare che l’inverno è stato piuttosto mite, permettendo agli Stati europei di accumulare riserve che basteranno per diversi mesi.

Inoltre, attualmente i fornitori di gas, rispetto al passato, sono aumentati e l’Italia ha pipeline attive provenienti dal Nord Africa. Se poi si vuole considerare lo “shale gas” derivante dalla fratturazione idraulica (fracking) la situazione non appare così drammatica: gli Stati Uniti, infatti, hanno “affrancato” una serie di produttori di shale gas che ora sono in cerca di mercati dove vendere il “surplus” di gas non più acquistato dagli americani. Certo, esistono correnti di pensiero che non vedono di buon occhio la tecnica della fratturazione tramite fluidi, spesso additata come la causa di contaminazioni chimiche delle falde sotterranee e dell’aria o di microterremoti dalle conseguenze ancora ignote (in alcuni paesi l’uso di questa tecnica è stata sospesa o addirittura vietata), ma qui si entra nel delicato terreno della coscienza ecologica che, come è noto, sovente a ragione, cozza contro l’economia sistemica del capitalismo.

Last but not least, il fatto, di non di poco conto, che alla Russia non converrebbe tagliare le forniture di gas all’Europa, perdendo circa 100 milioni di dollari al giorno.
Quindi il dubbio che i problemi in Crimea possano essere utilizzati dall’Eni quale scusante per aumentare il prezzo del gas in Italia, a questo punto, diventa più che credibile.

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