14 maggio 2014 Lascia un commento
L’elenco fa davvero impressione ma accade che Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Franca Valeri, Silvana Mangano e Dorian Gray, per motivi diversi si ritrovino a Montecarlo e per motivi ancora piu’ diversi, restino coinvolti nell’uccisione di una ricca nobildonna.
Ne usciranno come si puo’ prevedere, alla maniera gagliarda e caciarona che cotanti rappresentanti dello spirito italiano che fu, sapevano dimostrare.
Ora, che in un film ci siano tre quarti dei colonnelli del cinema nostrano e’ gia’ un motivo per sedersi in poltrona e mettersi comodi, che poi si torni al 1960 quindi nel momento di piu’ fulgido e alto del nostro cinema e con buona approssimazione la piena parabola ascendente nella carriera dei nostri, la dice lunga sulla qualita’ della pellicola alla quale bella o brutta che sia, bastano i protagonisti per definirne l’importanza.
Li ritroviamo infatti in ruoli che in fondo li rappresentano attraverso le loro caratterizzazioni piu’ celebri, percio’ il film diviene un campionario attoriale quasi a catalogo o mostra delle doti di ognuno.
Sordi e’ il conte Max della situazione, l’italiano trasformista a cui piace indossare panni piu’ grandi di lui e vantarsene. Gassman e’ l’uomo dalla gamba lunga ma non abbastanza per il passo che vuole compiere e Manfredi il borgataro arruffone sempre pronto a mordere ogni occasione gli si presenti. Stereotipi in fondo ma ancora in via di completa definizione, quindi rappresentativi e non imitativi. Analogo il discorso per le signore, con la Valeri in costante ricerca di una nobilta’ immaginata sulle pagine dei rotocalchi, la Mangano e’ la donna che sopporta la vita col minimo indispensabile e Dorian Gray, bionda di nome e di fatto.
Canovaccio minimo ma con cotante spalle a reggere l’impianto, si poteva lasciare carta bianca che ne veniva fuori comunque un capolavoro e poi tanto banale di certo non lo e’ stato se ha avuto ben due tentativi di imitazione, uno dieci anni dopo sempre con la regia di Camerini e una trasposizione statunitense degli anni novanta che mi riprometto di vedere. Assolutamente imperdibile, unico effetto collaterale l’accentuarsi dell’amarezza su cosa eravamo e come ci siamo ridotti.