Crisi 2007/2014: incidente di percorso o fatto storico?

Creato il 21 febbraio 2014 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Quali le soluzioni per affrontare la crisi nel suo vero e profondo significato e allarme?

Sulla crisi che ha investito il mondo dal 2007 si è scritto e si è parlato tanto. Se ne sono interessati giornali, televisioni, libri, congressi, parlamenti, organizzazioni internazionali, nazionali, regionali, locali, governi, banche centrali, politologi, saggisti, economisti, finanzieri, uomini di cultura, ecc.

Ma basta? L’argomento a noi pare analogo a quello del socialismo: una valanga di scritti, ma la conoscenza dell’argomento ci sembra ancora scarsa, troppo scarsa e inadeguata. Su questa crisi, che chiamiamo del 2007 in attesa che la storia le dia un nome definitivo, l’informazione – tanta – disponibile tende a delinearla come un brutto incidente di percorso: come, nel corso di un inverno, una normale influenza che, per circostanze varie ha assunto un decorso brutto. Definiamo tale interpretazione come “minimale”. In base a tale analisi la crisi, non prevista, non capìta al suo manifestarsi, sottovalutata nel suo svolgersi e nelle sue conseguenze, si sarebbe svolta nei seguenti termini e fasi:

a)     Mutui USA “subprime: la causa ritenuta scatenante. L’utilizzo di tali mutui in pacchetti obbligazionari poco analizzabili e distribuiti nel mondo intero avrebbe poi causato l’estensione mondiale della crisi.

b)   Crollo dei mercati finanziari, fatto che ha bruciato una quantità immane di capitali, fino ai due terzi dei valori mobiliari azionari, per citare solo le borse.

c)    Crollo degli istituti finanziari, poi di quelli bancari e creditizi e, infine, dei gruppi assicurativi collegati ai premi sulle garanzie sul credito.

d)   Crollo finanziario globale, a seguito della drammatica e incontrollata diffusione dei derivati finanziari, il cui ammontare è stato valutato in 10 volte il PIL mondiale, ossia sui 570.000 mld $.

e)    Crollo della liquidità, crollo dei consumi, crollo dell’economia nei Paesi sviluppati e in gran parte di quelli emergenti.

f)    Diffusione planetaria di panico e di sfiducia reciproca di tutti verso tutti: il contrario di quanto verrebbe richiesto dal mercato per funzionare bene.

I “rimedi” sono stati approntati secondo tale versione minimale:

1)    Creazione di liquidità finanziaria, a costo bassissimo.

2)   Salvataggio delle aziende cardine in crisi per non far crollare il mercato.

3)   Attivazione di spese pubbliche per risollevare il sistema economico.

4)   “Spargere fiducia e ottimismo”.

Ma le cose stanno veramente così? Ossia, la crisi si è veramente sviluppata seguendo tale diagnosi “minimale”? E le risoluzioni adottate, conseguenti a tale diagnosi, saranno efficaci? Crediamo e temiamo che le cose siano molto più gravi, e tali da esigere risposte enormemente più vaste e strutturate, tali da coinvolgere l’intera civiltà occidentale.

Esaminiamo alcuni fatti che però andrebbero analizzati globalmente e congiuntamente:

1)   Delocalizzazione delle unità produttive: un’operazione spesso selvaggia che toglie posti di lavoro (e stipendi) ai paesi avanzati per creare lavoro (pagato un quinto o un decimo) nei Paesi in via di sviluppo. E così i Paesi sviluppati e decurtati di quantità enormi di salari, come potranno continuare a spendere, a consumare?

2)   Credito al consumo: se i Paesi sviluppati non hanno abbastanza disponibilità da spendere, inondiamoli di credito. Si crea così una falsa soluzione che poi scoppierà. Infatti con che cosa i cittadini ripagheranno i crediti, se i loro salari sono diminuiti per la perdita del posto di lavoro o per il rischio di perderlo e per la maggiore competizione sulla ricerca del lavoro e sul livello della retribuzione?

3)   Globalizzazione: ha mostrato limiti drammatici e storture da molti e da tempo evidenziati. Un sistema in cui gli operatori hanno squilibrio tra diritti e doveri; un sistema di enorme instabilità. Il cammino di totale liberalizzazione andrebbe fondamentalmente rivisto. Le soluzioni ora indicate (regole, trasparenza) appaiono assolutamente inadatte: sono insufficienti e verranno evase. È la globalizzazione in se stessa che va discussa, nelle sue possibilità (fin troppo valutate), nei suoi effetti devastanti ampiamente sottovalutati a livello pubblico e legislativo.

4)   Etica: il drammatico crollo etico degli ultimi decenni, in nome della libertà assoluta, ha profondamente distrutto l’etica stessa, aprendo lo spazio a ogni illegalità, come è avvenuto e sta avvenendo. L’editorialista Piero Ostellino (Corriere della Sera, 22 dicembre 2013) afferma che la nostra crisi non è tanto economica, quanto culturale, morale e civile. La legge non potrà mai sostituire l’etica. Il crollo dell’etica è il baratro dell’umanità e di ogni sua espressione: della finanza, del credito, dell’economia, della cultura.

5)   Civiltà dei consumi di massa: l’Occidente, e sempre più l’intero mondo, stanno rincorrendo il consumo come supremo obiettivo della vita. Varrebbe la pena di esaminare se questa è la realtà o se l’Occidente non incomincerà a essere saturo di consumo, o almeno di certi consumi in gran parte imposti dai mezzi di comunicazione di massa.

6)   Civiltà occidentale: la civiltà occidentale nella sua fase di sviluppo industriale (da fine ‘700) si è sviluppata su di un filone non sostenibile. Ora l’umanità sembra arrivata al capolinea, ma ha difficoltà a prenderne atto. Ogni ritardo in questa presa di coscienza non può che rendere più drammatico ogni futuro riadattamento.

7)    Economia: l’Occidente ha sviluppato una concezione di civiltà che affida all’economia e alla produzione e consumo di beni e servizi il compito fondamentale, se non unico, della vita. Sviluppandone una conseguente cultura e antropologia. È giunto il tempo di rivedere questa concezione, ricostituendo una visione più completa dell’essere umano, altrimenti si va alla distruzione dell’umanità. Il diffondersi quasi epidermico della depressione nei paesi ad alto sviluppo, come quelli occidentali, ne è un primo sintomo.

8)   Imprese: l’economia e l’organizzazione d’impresa sono forse le due aree dove il pensiero, l’esperienza, le tecniche hanno realizzato gli sviluppi maggiori, ma il tracollo di grandi e gloriosi gruppi ha dimostrato tutti i limiti della gestione d’impresa come realizzata oggi, che mai erano apparsi così evidenti. Non lo si può più ignorare, pena andare incontro a rischi drammatici, che ormai sono sotto gli occhi di tutti.

9)   Finanza: la finanza ha creduto di poter arrivare al monopolio del potere mondiale sovrapponendosi perfino agli Stati. In questa crisi del 2007 ha rivelato limiti e incapacità drammatici, che gli esperti conoscono da decenni e che ora sono evidenti a tutti:

-   assenza di etica;

-   appetiti insaziabili;

-   potere spregiudicato;

-   totale inadeguatezza manageriale e di direzione sia gestionale che strategica;

-   assoluta sproporzione tra potere (immenso) e valori e capacità (molto bassi).

10)  Visione di breve termine: l’Occidente è ossessionato dal breve termine: ne consegue una visione drammaticamente miope, assolutamente inadeguata da un punto di vista strategico. La coscienza di tali fatti si sta diffondendo, mentre le contromisure non si sviluppano.

11)  Stato di diritto: noi crediamo che la fiducia nello stato di diritto sia eccessiva. Una rete dai tanti buchi, e così larghi da permetterci di passare quasi tutto. Inclusa la stessa negazione del diritto, in misura tale da distruggere dal di dentro la stessa democrazia.

12)  Per l’Italia e l’Europa vi sono poi dei fattori aggiuntivi da considerare, come l’Euro, le cui influenze non sono mai state analizzate adeguatamente: a livello mondiale per l’instabilità dei mercati, a livello europeo su come ha influito sui rapporti tra gli stati europei (in particolare il commercio e l’occupazione); a livello Italia sull’efficienza economica del Paese e sul tasso di disoccupazione.

In sintesi, noi crediamo che la crisi del 2007 non sia assolutamente un incidente di percorso, ma un avviso sulle difficoltà strutturali della nostra civiltà, sulle quali dovremmo concentrarci per trovare soluzioni adeguate, anziché tamponamenti provvisori. Per le stesse ragioni, riteniamo che l’analisi (da noi definita “minimale“) della crisi sia assolutamente inadeguata. E, parimenti, lo siano i rimedi messi in atto, pur con grande senso di urgenza e responsabilità. Non escludiamo che tali rimedi, nel breve, possano raggiungere l’obiettivo di superare questa crisi, ma temiamo che la medesima crisi, in versione peggiorata, potrà ripresentarsi a medio termine, fra tre/quattro anni, vanificando le azioni messe in atto oggi e dopo aver bruciato le nuove risorse immesse. Mentre il problema resta quello di riesaminare criticamente la nostra civiltà. E da lì ripartire per un nuovo cammino. La crisi in esame ha messo in evidenza anche alcuni pericoli generati dalla globalizzazione:

a)   Una enorme instabilità mondiale, capace di distruggere monete, economie, borse mobiliari.

b)   Lo stritolamento di interi Stati o continenti quando si siano specializzati in una certa area del commercio mondiale, venendo così ad assumersi una responsabilità vertiginosa.

Questo deve far ragionare sulla globalizzazione, senza assumerla come un assioma o un dogma, come da decenni in tanti (dai no-global a importanti saggisti) stanno avvertendo. E se non bastasse questa crisi del 2007 per capire gli errori strutturali commessi negli ultimi decenni e negli ultimi trecento anni, aiuterebbe andare ad esaminare cosa è successo nei singoli Stati del Comecon con il crollo del socialismo e dell’Unione Sovietica.

La crisi in oggetto suggerisce inoltre di rivedere:

1)   Il processo di delocalizzazione;

2)   il tipo e l’entità dell’immigrazione;

3)   la globalizzazione;

4)   il ruolo degli Stati;

5)   il tipo di civiltà che si vuole;

6)   quale sia il punto di equilibrio tra localismo e universalismo;

7)   quale sia il ruolo realistico dello stato di diritto;

8)   il ruolo insostituibile dell’etica;

9)   i pericoli globali che incombono.

Questa secondo la nostra analisi è l’entità dei problemi messi in luce dalla crisi del 2007. I rimedi messi in atto appaiono perciò un tenue palliativo da accettare solo come tamponamento per affrontare la crisi nel suo vero e profondo significato e allarme. Da subito.




Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :