Leggevo che il 21% delle studentesse si prostituisce. Forse per pagare gli studi, forse per avere uno smartphone di ultimissima generazione. Forse per il gusto del proibito. Chissà. Il 21%. E' tanto? E' poco? Non lo so; se lo rapporto a due coppie su tre che vivono con un tradimento (almeno uno) alle spalle, con l'evasione fiscale, con gli scontrini mai fatti, con la pirateria dilagante, con le droghe, con le famiglie che vanno in frantumi in un rapporto sempre crescente da decenni, le risse per il calcio, le stragi del sabato sera, i morti nelle carceri, i morti di Stato, la mafia... forse no. Forse il 21% non è tanto, forse solo è un indice come altri che può essere trasformato in un ottimo dibattito da salotto TV dove qualche cocainomane, puttaniere, arrivista, divorziato e ladro spiegherà il senso del declino della società a quelle poche persone che credono ancora che la televisione sia una di famiglia. E darà delle risposte. E se tutto questo capita è perché la gente ha smesso di farsi domande e di farne agli altri. E ha smesso di darsi risposte pretendendole ogni giorno.
Dicevo del tizio. Sosteneva non fosse così. Le donne e i soldi non sono l'unico motivo. Eppure la gente per cosa fa follie se non per quel senso di possesso che vada oltre il superfluo, che dia quella luce alla propria vita come di un senso compiuto anche alle spalle degli altri, in nome di una fittizia felicità dell'istante? La crisi di valori, dicono. Io non lo so. Io non ci capisco poi tanto e non riesco più nemmeno a generalizzare il mondo buttandolo dentro un bicchiere e guardandolo attraverso il vetro per vedere se nella sua deformità qualcosa di nuovo possa uscire. Non so nemmeno se la crisi sia recente o lontana nel tempo, non so nulla. So che la gente confonde le proprie emozioni, questo lo so. So che la gente pensa di trovare le risposte sui libri moderni, o nelle parole di un cantante da Festivalbar. So che la gente non vuole parlare, o emozionarsi se in cambio non riceve qualcosa. So che la gente sostiene tutto ed il contrario di tutto ma dà sempre l'impressione che nessuno gli abbia messi davanti alle proprie vere responsabilità, che nessuno gli abbia mai fatto la domanda giusta, che nessuno gli abbia mai spiegato che la vita non è un film e non va vissuta recitando copioni ma sentendosi liberi, anche di uscire dagli schemi, purché nella decenza del rispetto altrui. O no? Non sembra anche a voi?
Ho rivisto Forrest Gump stasera. Quando lo vidi al cinema avevo 20 anni. Mi era piaciuto all'ora, mi piace ancora oggi che riesco a dare qualche ragione in più all'opera di Robert Zemeckis, senza alcuna pretesa, senza alcun discorso d'alta critica cinefila, andando un po' oltre il discorso del buonismo ed il conflitto critico dell'epoca sull'essere una pellicola di stampo eccessivamente conservatrice. Anche oltre la semplice chiave del ricostruire trent'anni di storia americana attraverso gli occhi di un ingenuo e stupido personaggio che non invecchia mai e vede il mondo morire attorno a sé mentre lui sopravvive ed è complice di piccole cose che provocheranno immensi cambiamenti. Il verso di una canzone, la fine di un presidente, l'idea di qualcosa di nuovo per piccole masse di persone. C'è tanta roba in quel film, c'è tanto valore in quella storia, un amore ed un'amicizia idealizzati a tal punto da renderli più forti della morte, una promessa da mantenere oltre ogni inghippo della vita, anche se la persona a cui avevi dato la tua parola poi non c'è più. Anche se la persona che alla fine ti dice "ti amo" è destinata a lasciarti poco dopo, a volare via da te e dal mondo. Perché in fondo, il sentimento, l'onestà, il rispetto, non sono cose che dovrebbero sopravvivere ad ognuno di noi? Non lo so fin dove volesse arrivare questa storia e non so quanto sia pensato il fatto che uno stupido ragazzo come Gump sia protagonista del positivismo allo stato puro. Quello che so è che la razionalità delle cose deve essere davanti ad ognuno di noi, sempre, ma che l'amore e l'amicizia non sono quelli di Gump anche se lasciare che sia il cuore a decidere, comunque, in ogni istante, come vivere un sentimento è la cosa migliore che si possa fare. Purché si sappia che Gump vive la sua vita per mantenere la parola data. E purché si tenga a mente che Gump non ha rincorso l'innamoramento della "sua" Jenny cercando di essere ricambiato ma convinto che fosse già così, convinto di amare e non di provare un semplice sentimento, un'infatuazione, un innamoramento. Ma di amare. Perché glielo diceva il cuore, che non è stupido o sottosviluppato. E' il cuore. Ed anche se Forrest Gumpo idealizza, il messaggio è sui valori e l'importanza che si dà a certe priorità cercando di portare a casa il risultato, senza pestare i piedi a nessuno. Un fischio per creare una sinfonia, un piccolo passo per fare un immenso salto in avanti, un piccolo gesto per costruire qualcosa di solido. Credere che i buoni sentimenti siano giusti è facile, riuscire a trasformarli in piccoli gesti no. E non penso che l'idea sia che solo un mezzo autistico come Forrest Gump ce la possa fare perché troppo ingenuo per fare del male o per comportarsi come gli altri esseri umani, cinici e barbari. No, il messaggio, forse, è solo quello di crederci di più e far sopravvivere un'idea a tutto il resto.
Ecco perché apre la società di gamberi di Buba. Ecco perché dà una seconda vita al Tenente Dan. Ecco perché, dopo averle descritto i tramonti di mezza America, dice a Jenny, che avrebbe voluto condividere con lui quei momenti invece di infilare la propria vita nel cesso, "tu c'eri". Perché c'è bisogno di parlarsi, di ascoltarsi e di capirsi, chi lo nega, ma al resto devi crederci. E sentirlo anche. Corri Forrest, corri...