Ormai lo sappiamo tutti. Usando Google e internet in generale, possiamo dire addio alla nostra privacy.
Noi lo sappiamo, ma – anche volendo – come possiamo far senza? Già utilizziamo Google (e internet) come estensioni di noi stessi e, in particolare, del nostro cervello. Se, ad esempio, dobbiamo ricordarci se si scrive “spiagge” o “spiaggie”, se non conosciamo la strada per arrivare in un posto o se vogliamo sapere in quale film appariva un tal attore, è assai probabile che ci rivolgeremo alla rete piuttosto che al nostro cervello. A proposito, si scrive: “spiagge”, ho appena consultato Google…
Le nostre capacità mnemoniche (ho appena consultato la rete per scrivere correttamente questa parola…) sono drasticamente diminuite da quando internet è costantemente a disposizione. Un po’ come accadde con l’avvento delle calcolatrici tascabili e le nostre abilità matematiche. Del resto, perché doversi ricordare come si fa una divisione del tipo 987 / 56 quando c’è una calcolatrice in ogni dove che ci restituisce il risultato esatto in qualche decimo di secondo? Allo stesso modo, il nostro cervello (pigro come qualsiasi altro muscolo) preferisce non doversi sforzare a ricordare l’ortografia di una parola, dal momento che una sua “estensione” (internet) fornisce la risposta esatta all’istante.
Nei Google Glasses tutte le funzioni attualmente svolte da computer, tablet, ecc. vengono incorporate e smaterializzate in un microsensore.
Grazie a computer, smartphones e quant’altro, la connessione tra il nostro cervello fisico e il nostro cervello esteso è già quasi costante e continua e lo sarà sempre di più. Gli occhiali Google sono il primo passo verso l’integrazione sul o addirittura nel nostro corpo di tutte le funzioni che ora svolgiamo ancora con apparecchi esterni (computer, smartphones, ecc.). Un’interfaccia così antica come la tastiera, che, curiosamente è sopravvissuta alla grande rivoluzione di internet, ci apparirà tra qualche anno un oggetto archeologico così come ora lo è un grammofono di inizio novecento.
In altre parole, sempre di più, tutto ciò che facciamo, vediamo, leggiamo e…in qualche modo pensiamo passa e passerà attraverso la rete. Che, ovviamente, lo registra e registrerà. Google è gratuito perché “il prodotto” siamo noi, i nostri gusti, le nostre inclinazioni, i nostri vizi, i nostri pensieri…Utilizzati, nel migliore dei casi, a fini pubblicitari e nel peggiore, per controllarci e eventualmente ricattarci, emarginarci, imprigionarci e via dicendo.
Ma se internet o Google registrano tutto ciò che facciamo, vediamo, leggiamo, pensiamo…ecc. chi meglio di internet o Google sa chi siamo?? Di fatto, in qualche “luogo”, c’è una qualche “cartella” dove sono immagazzinate tutte le domande che ci poniamo, i luoghi, i film, le persone che ci interessano, le nostre paure, i nostri dubbi, i nostri desideri….In qualche maniera, provocatoriamente e iperbolicamente, stiamo “esternalizzando” non solo una parte del nostro cervello, ma anche del nostro essere, della nostra coscienza.
Utilizzando i dati relativi al nostro comportamento su internet, già internet stesso (o Google in particolare) ci offre ciò che ritiene più adatto a noi, ad esempio facendo apparire più in alto nei risultati delle nostre ricerche prodotti, cose, risposte che i suoi algoritmi considerano per noi più interessante. O piazzando nei siti che visitiamo pubblicità in linea con quanto stiamo leggendo, cercando, guardando. A volte, ci pare addirittura che Google sapesse a cosa stavamo pensando…E quindi, provocatoriamente e iperbolicamente, si può ipotizzare che, oggi o nel futuro, Google sviluppi algoritmi non solo a fini commerciali, ma puramente psicologici ed emozionali e quindi potremmo porgergli domande ed attenderci risposte che riguardano la nostra stessa identità, il nostro stesso essere.
PS. si scrive “onnisciente” e non “onniscente”…