Crisi economico finanziaria: la rivoluzione islandese

Creato il 13 settembre 2011 da Elvio Ciccardini @articolando

Mentre i paesi europei scivolano progressivamente e inesorabilmente nel baratro delle politiche sociali anti-crisi, che di fatto stanno solamente smantellando lo stato sociale o quello che di esso ne resta, dai media, e dalla voce degli esperti, politici inclusi, emerge solo un sistema per uscire dalla crisi: tagliare, mettere i conti a posto, a prescindere dall’effettivo costo sociale collettivo.

Eppure, non è vero che non esistano alternative alla politica europea. Quest’ultima è più simile ad una serie di cicli di chemioterapia, che non ad una cura riabilitativa. Così, mentre si piangono lacrime e sangue, si spera di salvare, ognuno quello che gli è rimasto. Sempre meno, purtroppo.

Tuttavia, altri modelli politici esistono e sono possibili, peccato che siano ignorati e non siano divulgati all’opinione pubblica. Ad esempio, l’Islanda è salita alle cronache recenti dei giornali per via della proposta di un magnate cinese, che avrebbe voluto acquistarne il 3% del territorio per costruire un eco-resort. Voci maligne, riconducevano questa proposta alla crisi finanziaria. In sintesi, pur di far cassa, la proposta valeva la pena di essere presa in considerazione.

In realtà l’Islanda non sta attuando le misure della Grecia, non è in vendita. E non è in vendita per un semplice motivo, sta superando la crisi con opportune scelte politiche e con la partecipazione alla politica della popolazione.

Ed è strano che nessun politico e nessun economista si sia accorto che i problemi che affliggono il resto d’Europa, non riguardano gli isolani islandesi.

Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente dichiarato che il programma di aggiustamento supportato dall’Islanda ha avuto successo: il tasso di cambio si è stabilizzato, i conti pubblici sono avviati lungo un percorso sostenibile e sono stati fatti importanti progressi nella ricostruzione del settore finanziario. Il Governo è riuscito ad applicare le misure in modo eccellente, guadagnandosi una forte credibilità. La disoccupazione è ancora alta, ma il paese non è più in crisi.

Come hanno fatto? Per prima cosa sono intervenuti nelle regole del gioco, cioè a livello legislativo. Tanto è vero che l’ex primo ministro rischia il carcere, pagherà per negligenza e per non aver preso misure preventive contro la crisi, che era tutto tranne che una tragedia non annunciata. Inoltre hanno lasciato fallire le banche ed hanno indetto un referendum popolare per chiedere ai cittadini quali misure ritenessero giuste per il paese. Hanno rischiato, ma hanno avuto ragione.

Infine, perchè la democrazia non è mai sufficiente, la classe dirigente ha promosso la scrittura di una nuova carta costituente, dal marchio web 2.0. E’ la prima volta, nella storia dell’umanità, che una carta costituzionale sia creata insieme ai cittadini che possono monitorare i costituenti e, contemporaneamente, commentare e contribuire alla definizione di quella che sarà la nuova Islanda.

E’ evidente che si stia attuando una metodologia di politica pubblica diversa, rispetto a quella d’Europa. Da un lato si è scelto il metodo della democrazia partecipativa, dove le politiche pubbliche nascono dal basso. Dall’altro si usano i metodi verticistici, ormai primi di credibilità e di efficacia.

La differenza, tuttavia, è legata anche alle scelte di teoria economica, sottostanti alla politica economica decisa, per affrontare la crisi.

L’Islanda ha applicato le seguenti misure: ripudio del debito, controlli di capitale e svalutazione monetaria. Di fatto, hanno utilizzato la teoria macroeconomica di base, quella che si studia anche all’università.

Nel resto del mondo, al contrario ci si è concentrati sul vincolo di bilancio, come se fosse l’unico rimedio. Alla fine ci stiamo trovando in una situazione disastrosa che non crea posti di lavoro, in cui la disoccupazione è a livelli elevatissimi.

E’ evidente che si stia affrontando il problema sbagliato. Se non fosse così non avremmo, dopo anni di austerità economica, ancora bisogno di misure austere, senza ottenere nessun risultato se non quelli di inibire ulteriormente la crescita. L’ossessione maniacale per i debiti a breve ci sta costando tanto quanto la crisi economico finanziaria.

Eppure, qualche economista accreditato e di alto profilo si era espresso ed aveva denunciato il terribile errore di una classe politica inetta e incompetente. Un nome? Joseph E. Stiglitz.

Qualcuno la chiama la rivoluzione islandese, in realtà nulla ha di rivoluzionario. Poiché è l’esempio di un popolo che partecipa democraticamente al futuro del proprio paese, quello che dovrebbero far tutti, italiani compresi. In fondo, chi aspetta la manna dal cielo, muore di fame, almeno nell’epoca moderna.



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