Crisi Finanziaria o Economica?

Creato il 10 settembre 2012 da Mir Gorizia @Ettore_Ribaudo
Molti commentatori ed analisti stanno azzardando paragoni con la crisi in corso sui mercati finanziari  al “grande crollo” del 1929. 

In effetti elementi di analogia tra i due fatti se ne ravvedono, anche non abbiamo elementi per tracciare un parallelo dal punto di vista degli effetti. 

La vera diversità tra allora ed adesso risiede, però, nel peso del rapporto tra produzione e finanza. 

Quella che, impropriamente, è stata definita “globalizzazione”, infatti, è stata rappresentata soprattutto da una crescita del fenomeno della finanziarizzazione dell’economia; nulla di nuovo sotto il sole, ovviamente, almeno a partire dalla Borsa di Parigi negli anni di Napoleone III: quando i vari Rotschild & C trasformarono in mera speculazione finanziaria tutto il prodotto del neocolonialismo francese, dall’Algeria all’Indocina. 

Un processo di finanziarizzazione imponente, al cui interno finora gli elementi di crisi erano stati relegati in situazioni periferiche come quelle dei paesi dell’Est europeo di recente assunzione liberista o dell’Argentina del bond e della rivolta delle pentole. 

 La crisi finanziaria si trasmette quasi immediatamente all’economia reale. Il commercio nazionale e internazionale subisce un forte rallentamento. I prezzi e i profitti si riducono. La riduzione dei prezzi penalizza tutti i settori dell’economia. Una delle principali cause della crisi deriva dai comportamenti finanziari poco attenti alla qualità dei titoli nel corso degli anni 20.
Si compra per rivendere senza guardare al loro contenuto e facendo poca attenzione all’economia reale. In altri termini, alla crescita delle quotazioni dei titoli non corrisponde una crescita equivalente anche della produzione reale.Negli anni ’20 le quotazioni dei titoli crescono esclusivamente per azione della grande domanda degli stessi. Gli stessi grandi uomini di affari incentivano la crescita della domanda al solo scopo di aumentare il valore del proprio portafoglio titoli. Nel momento in cui scoppia la bolla speculativa si innesca un processo contrario e rapido.Oggi, invece, la crisi minaccia il cuore del Mondo e dell’Italia in particolare, anche perché arriva al pettine un nodo assolutamente decisivo legato ad alcuni fattori: la delocalizzazione della produzione verso Oriente, la trasformazione di tutto quello che è Economia in prodotti finanziari e l’asserzione che lo SPREAD è il mero indicatore di una Economia in saluteNon a caso l’elemento di maggior rilievo, in questa bufera, è quello della trasformazione del potere Economico in potere finanziario avvenuto e la trasformazione  in fondi d’investimento dei “mutui in sofferenza”, attraverso i quali era stato surrettiziamente finanziato un forte flusso di crescita del consumismo individualistico, rivolto in particolare verso la proprietà delle abitazioni. 
La nuova Imu e le difficoltà crescenti delle famiglie a pagare il mutuo potrebbero costringere le banche a svalutare i propri attivi immobiliari e a iscrivere a bilancio nuovi crediti in sofferenza.
E gli istituti di credito potrebbero chiedere nuove garanzie in cambio di prestiti agli imprenditori. Già oggi le sofferenze del settore edile sono il 25% del totale. Una percentuale destinata a salire.L’Italia, tanto per restare a casa nostra, appare particolarmente esposta ai rischi di una situazione del genere, per la fragilità oggettiva del suo tessuto economico all’interno del quadro europeo: priva di settori portanti sul piano della produzione industriale, come quello della chimica, sacrificato fin dagli anni’70 sull’altare della “questione morale” in seguito al prezzo esagerato pagato ai padroni privati al momento della nazionalizzazione dell’energia elettrica (ricordate: Montedison, madre di tutte le tangenti?), siderurgia e meccanica, sulla base di scelte strategiche sbagliate compiute nel decennio ’80-’90, elettronica, agro – alimentare. 

Insomma: sta emergendo una situazione che reclama un modo diverso del passato nel prenderne atto, nell’analizzarla lucidamente, nell’avanzare una capacità di rivendicazione sociale non posta ai margini dei fenomeni reali. 

L’attuale società è spesso indicata con espressioni eloquenti: si è parlato di “società del rischio”, di “società liquida”, di “società instabile”.L’internazionalizzazione dell’economia, aumentando l’interdipendenza, ha messo in discussione l’egemonia occidentale. In tale contesto, l’obiettivo prioritario delle regole da introdurre è rappresentato dall’esigenza di inibire i processi speculativi. Si rende indispensabile una rinnovata lex mercatoria volta ad una maggiore trasparenza. Se non si affermeranno nuovi parametri e procedure in grado di disincentivare la speculazione l’esito sarà una maggiore instabilità, già ben testimoniata dalle continue oscillazioni dei mercati. L’Euro, da solo, non basta a contrastare una crisi, da cui dovrebbe discendere una nuova base politica. Il nuovo art. 81 della Costituzione fa esplicito riferimento alla fasi del ciclo economico: in assenza di tale vincolo, il sistema politico non risulta capace di praticare politiche virtuose. La riforma costituzionale non poteva non prevedere deroghe connesse con l’andamento dei cicli economici, esprimendo così un rapporto dialettico, sempre più manifesto, tra diritto ed economia.

Rammento solo cosa fece Roosevelt  nei primi 100 giorni del suo mandato e al perdurare della crisi:

  • ·   l’Emergency Banking Act che istituì una vacanza bancaria di alcuni giorni al fine di sondare la liquidità e la solidità degli istituti di credito e che assoggettò le banche al controllo dell’amministrazione federale;
  • ·   l’istituzione della Federal Deposit Insurance Corporation che assicurava tutti i depositi bancari sino a 2.500 $;
  • ·   la sospensione del gold standard che comportò la svalutazione del dollaro e rese possibile il ricorso all’esportazione delle merci come sbocco per la sovrapproduzione statunitense;
  • ·   l’Economy Act che introdusse il bilancio federale di emergenza;
  • ·   l’Agricultural Adjustment Act che attribuiva contributi in denaro a quegli agricoltori che avessero limitato la produzione agricola in modo da mettere un freno alla caduta dei prezzi che aveva costretto sul lastrico milioni di agricoltori dell’est.

Peccato che alcune di queste cose non si possono fare perché, per esempio, non abbiamo più la sovranità Monetaria!

Si impone, in definitiva, e cito soltanto il titolo, una ripresa di ragionamento sulla necessità dell’intervento pubblico, strategico di programmazione e di gestione dei settori decisivi, in economia, ripensando la realtà degli accordi internazionali, a partire da quelli europei: questo sarebbe il compito di una realtà di sinistra, non adagiata supinamente a considerare il liberismo l’unica frontiera possibile in questa fase della storia. Tags: 5stelle, agenzia delle entrate, banche, befera, Bilancio dello Stato, crisi, crisi italia, energia, imu, politica, politica fallimentare, riforme strutturali, Risparmio energetico, terna