Crisi in Crimea, la paura delle aziende per le sanzioni

Da B2corporate @b2corporate
Come se non bastasse – e basterebbe eccome – il pericolo di un aggravamento della crisi in Crimea in termini di rischio per le vite umane e stabilità politica, anche le aziende italiane hanno molto da perdere da una situazione sempre più incandescente: soprattutto se le sanzioni verso il Cremlino si faranno più aspre, come il presidente USA Barack Obama ha lasciato intendere negli ultimi giorni.
Fra le aziende italiane più preoccupate dalle cattive notizie politiche c'è Eni, che è ad oggi uno dei più importanti clienti di Gazprom. Naturalmente per gli USA Mosca non è un fornitore fondamentale, anche considerato le nuove riserve scoperte grazie alla tecnica del fracking, ma per il Vecchio Continente è tutt'altra questione.
Il 27% del fabbisogno Ue viene infatti soddisfatto dal gas russo, con punte particolarmente elevate per Germania, Italia e Austria. Chiare anche le parole di Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni: «Se ci ritroviamo senza gas russo nel mezzo di un inverno rigido, per noi sono problemi, mentre la Russia non ha problemi a ricevere i nostri soldi il giorno dopo». Eni pensa anche alle licenze di esplorazione per lo shale gas nell'Ucraina orientale e gli accordi con lo stesso governo di Kiev per l'esplorazione e lo sviluppo di giacimenti nel Mar Nero, a due passi dalla Crimea. È evidente che un inasprimento delle sanzioni metterebbe ancora più in crisi la già traballante industria italiana: un motivo in più per sperare in una rapida e pacifica soluzione delle tensioni internazionali.

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