Crisi in Italia: Informazione Scorretta intervista Fabio Falchi

Creato il 06 luglio 2013 da Informazionescorretta

Abbiamo chiesto a Fabio Falchi, redattore della rivista Eurasia, di spiegarci la critica situazione italiana ed europea. Ecco le sue preziosi risposte.

1) Assistiamo a un progressivo impoverimento del dibattito politico italiano; il governo racconta apertamente inesattezze ed evita di mettersi in mostra. Sei d’accordo?

All’inzio degli anni Novanta, con la “liquidazione” per via giudiziaria del cosiddetto CAF (Craxi, Andreotti, Forlani), si è dato inizio ad un nuovo corso politico che ha portato alla svendita del nostro settore strategico  proprio quando era necessario  “giocare la carta” della ”peculiarità” del sistema italiano (grandi imprese pubbliche e moltissime dinamiche ed efficienti piccole e medie imprese), in un contesto geopolitico completamente diverso da quello che aveva contrassegnato il secondo dopoguerra.  Nondimeno, di tutto questo gran parte degli italiani, “distratti” da Mani Pulite e dalla “discesa in campo” del Cavaliere, non si sono nemmeno accorti. Due decenni di ridicolo e berlusconismo grottesco e di antiberlusconismo demenziale hanno poi contribuito a mascherare la  reale situazione del nostro Paese, consentendo ai gruppi politici di “competere” tra di loro per aggiudicarsi l’“osso migliore”, mentre si gettavano le fondamenta della nuova NATO e della nuova Unione Europea (una ”ristrutturazione” assolutamente necessaria dopo il crollo del Muro e la riunificazione della Germania). Sicché, dopo l’introduzione dell’euro, il sistema politico italiano si è definitivamente  trasformato (con il consenso dei diversi schieramenti in lotta tra di loro, al di là di alcuni “giri di valzer” con Putin e Gheddafi) in una sorta di zelante funzionario dei “mercati euroatlantisti”, i quali possono far leva sul debito pubblico per trarre il massimo profitto dalla situazione originatasi dopo lo tsunami finanziario del 2008. Rebus sic stantibus, (considerando pure che l’Italia ormai si configura, di fatto, come una Repubblica Presidenziale), è difficile negare che il nostro disgraziato Paese sia destinato a diventare una “riserva di manodopera qualificata” a basso costo, con pensioni, sanità e servizi da “terzo mondo”.
2) E’ un clima comune al resto d’Europa?

 In Europa, soprattutto nell’Europa mediterranea e nei Paesi dell’area danubiana, la situazione non è molto diversa da quella italiana. Anche qui vi sono alcuni movimenti politici cosiddetti “populisti”, ma forse con idee più chiare e con una visione politica più ampia di quelle che caratterizzano il Movimento Cinque Stelle. Eppure anche questi movimenti – che traggono forza sia dal fatto che gran parte della sinistra europea si è installata definitivamente nei “piani alti” del sistema occidentale, sia dalla debolezza dei singoli Stati europei rispetto ai cosiddetti “mercati”, in realtà una decina di “attori” finanziari (e “geostrategici”!), tutti rigorosamente English speaking (per intendersi) – presentano non pochi difetti e ambiguità. Si tratta quindi di movimenti che non si basano (almeno per ora) su una salda e chiara dottrina politica, ma tendono comunque a mettere al centro del dibattito politico i problemi delle persone “in carne ed ossa” e a porre l’accento sul fatto che è assurdo che uno Stato dipenda dai “mercati”. Tuttavia, è ovvio che tali movimenti, se non “cresceranno” dal punto di vista politico,  rischiano di sgonfiarsi rapidamente – e questo vale anche per il Movimento Cinque Stelle che se non saprà sfruttare politicamente (il che considerando l’”infantilismo” di molti pentastellati non è affatto improbabile) la gravissima decisione del Consiglio di Difesa sugli F35, non avrà più alcuna ragione di presentarsi come forza politica “alternativa”, ammesso che qualcuno consideri (ancora) tale il movimento di Grillo. Al di là però delle facili (e in alcuni casi anche giuste)  critiche che si possono rivolgere ai cosiddetti “populisti” e/o agli “euroscettici”, considerando quel che oggi “passa il convento” e la gravità della situazione in cui ci troviamo, è opportuno essere “pragmatici” per quanto concerne il giudizio su  questi movimenti, soprattutto se decisi a difendere seriamente la sovranità nazionale e i settori strategici del proprio Paese, nonché a tutelare i diritti sociali ed economici di ceti medio-bassi.

3) Il destino d’Europa è già segnato? cosa si potrebbe fare?

Nell’agosto del 1945 il grande studioso di Hegel, Alexandre Kojève, aveva chiaramente previsto che la rinascita economica di una Germania trasformata in avamposto degli Stati Uniti avrebbe costituito un pericolo gravissimo per la Francia (e di conseguenza per l’Europa meridionale). Non sorprende allora che l’introduzione dell’euro (necessaria per “ancorare” all’Atlantico una Germania “riunificata”), non essendo caratterizzata dalla creazione di una vera Unione politica europea, abbia portato al “sostanziale” fallimento politico-strategico dell’Unione Europea (fallimento se non pianificato, almeno in un certo senso “previsto” dai circoli filo-atlantisti). Di fatto, l’euro (una moneta priva dello “spirito vitale” del Politico e perciò facilmente “aggredibile” dalla finanza internazionale) ha diviso l’Unione Europea in tre distinte aree geoeconomiche: i Paesi che non adottano l’euro (Gran Bretagna, Polonia etc.), i Paesi dell’Europa Settentrionale e quelli dell’Europa mediterranea, sempre più deboli e alla mercé dei “mercati”. Il tutto reso ancora più difficile e complicato da una Germania che è un gigante economico ma un nano (geo)politico che sembra pensare solo a trarre il massimo profitto da una situazione geopolitica estremamente favorevole per la sua economia (imperniata su un enorme attivo dellabilancia commerciale). Pertanto, dichiararsi oggi “europeisti” significa essere o in malafede o veramente “insipienti”.

Che fare allora? Mi pare logico che si dovrebbe cercare di rafforzare la “sovranità strategica” dei singoli Stati europei e tentare di cambiare la rotta geopolitica e politico-economica della UE, valorizzando le differenze e rafforzando le tre aree geoculturali che contraddistinguono il continente europeo: quella baltica, quella danubiana e quella mediterranea (quest’ultima di fondamentale importanza per una Europa “equilibrata” e fondata sulla cooperazione e la solidarietà tra i Paesi europei, nonché tra Paesi europei e Paesi della cosiddetta “area mediterranea allargata”, come aveva compreso perfettamente il grande Kojève). Da qui l’interesse per chi propone di tornare allo SME ( Serpente Monetario Europeo) o di introdurre due euro (un euro per l’Europa settentrionale e un altro per l’Europa meridionale) o perlomeno ditrasformare la BCE in una autentica Banca centrale (benché si debba prendere atto che vi sono Paesi -come la Gran Bretagna e la Polonia ma, in definitiva, pure la stessa Germania – nettamente contrari ad una vera Unione politico-monetaria europea).

Tuttavia, non vi sono attualmente forze politiche in grado di conseguire simili obiettivi e anche se vi fossero non si vede come potrebbero riuscirvi a questo punto ( nel senso che, anche se non sarebbe impossibile, adesso sarebbe veramente molto difficile). Del resto, in questi ultimi decenni la “Troika” ha creato il “deserto” perfino nei Dipartimenti universitari di economia (e non solo!), sicché non si può neppure più contare sulla intellighenzia europea (tranne eccezioni ovviamente) per comprendere la crisi che attanaglia l’Europa (“figuriamoci” per risolverla!). Inoltre, si deve pure tener conto della “lotta sociale”, dato che in questi ultimi anni si è avuta una “selvaggia” redistribuzione della ricchezza verso l’alto, tale che, ad esempio, il 50% degli italiani devono accontentarsi di spartirsi il 10% della ricchezza nazionale (ma sembra che anche nella stessa Germania gli strati sociali più deboli non “se la passino” molto meglio). E’ naturale allora che i ceti più abbienti (compreso il cosiddetto “ceto medio semicolto”, rappresentato assai bene dalla Boldrini e da buona parte dei giornalisti), i cui privilegi dipendono soprattutto dall’impoverimento dei ceti medio-bassi, abbiano tutto l’interesse a difendere la status quo e a definirsi “europeisti”. Non è affatto strano dunque che siano proprio gli “europeisti” a difendere “a spada tratta” anche il Trattato di libero scambio tra USA e UE. Insomma. l’”europeismo” si sta rivelando finalmente per quello che è in realtàovverosia un vergognoso “euroatlantismo”. E questo è il vero nemico dell’Europa (si badi dell’Europa, non della UE). Cercare quindi (se non di sconfiggerlo, ché forse ciò è al di là delle attuali possibilità) perlomeno di contrastarlo efficacemente, con strategie adeguate e “flessibili”, abbandonando schemi concettuali e ideologici ormai del tutto obsoleti, è l’ obiettivo che oggi ci si dovrebbe proporre di conseguire.


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