"Da tempo - spiegato Caliskan a TMNews - stiamo assistendo a un fallimento su tutta la linea della politica estera statunitense ed europea. L'apice è rappresentato dalla guerra in Iraq, che ha avuto come effetti la divisione del Paese e l'aumento del terrorismo a livello globale. La Turchia ha preso atto della situazione e sta facendo di tutto perché in Libia non si ripeta la stessa situazione. Non lo fa solo per motivi umanitari, alla base c'è una strategia precisa". L'iniziativa turca avrebbe quindi due scopi: far capire alla diplomazia occidentale che Ankara non ci sta più e cercare di porre fine alle sofferenze del popolo libico in un modo diverso rispetto all'intervento militare. Un doppio binario le cui probabilità di riuscita, però, sono scarse, anche se il messaggio inviato è molto forte.
Per Caliskan la Turchia può tentare di mettere in campo due opzioni: “La prima è che Gheddafi faccia un passo indietro rimanendo nel Paese e che un governo transitorio faccia le riforme e indica le elezioni, dopo le quali però il Colonnello e i suoi figli potrebbero tornare al potere. La seconda è garantire un esilio sicuro, magari in un Paese africano o mediorientale”. Al momento sembra che Ankara stia tentando la prima strada: in coincidenza con la visita del viceministro degli Esteri libico, Abdelati Laabidi (che prima di arrivare ad Ankara è stato ad Atene e a Malta), la Turchia ha chiesto infatti al governo libico “un cessate il fuoco immediato” e una “trasformazione politica”. Siamo ancora a uno stadio preliminare per la soluzione del conflitto, dicono fonti diplomatiche turche, ma Ankara è intenzionata a confrontare le posizioni del governo di Tripoli con quelle dell'opposizione: il Consiglio Nazionale di Transizione (Cnt) libico dovrebbe inviare infatti dei propri rappresentanti in Turchia nei prossimi giorni.
Gheddafi, in effetti, starebbe cercando una soluzione diplomatica al conflitto in corso, ma non intende lasciare la guida del Paese per evitare che diventi un nuovo Iraq o una nuova Somalia. Il portavoce del governo Mussa Ibrahim ha fatto notare alla stampa che “il capo non ha alcun incarico ufficiale da cui dimettersi. Ha un valore simbolico per il popolo libico. Come viene governata la Libia è un'altra questione. Quale sistema politico applicare nel paese? Questo è negoziabile. Possiamo parlarne”. La stampa americana ha riferito anche di una trattativa avviata da due figli di Gheddafi, Saif e Saadi, per favorire una transizione democratica, ma gli insorti di Bengasi ribadiscono che “Gheddafi e i figli devono andarsene prima di avviare qualsiasi negoziato diplomatico”.
Secondo Caliskan quel che è certo è che a Gheddafi bisogna dare qualcosa in cambio della sua rinuncia al potere, altrimenti non se ne andrà mai. Per questo “Ankara aveva iniziato a trattare con la famiglia Gheddafi fin da prima dell'inizio delle operazioni”, perché “nessuno come la Turchia conosce bene il Colonnello, nemmeno Francia e Italia, e soprattutto nessuno ha capito a sufficienza che siamo davanti a una delle personalità più instabili a livello globale". Tuttavia, “Ankara è stata volutamente esclusa da Nicolas Sarkozy nel vertice di Parigi. Il presidente francese ha chiaramente dimostrato di non saper gestire la situazione. Quello di Parigi è l'esempio lampante che Europa e Stati Uniti non tollerano che Paesi come Turchia, Iraq, Iran abbiano una politica propria. Vogliono continuare a dettare l'agenda quando loro sono evidentemente in crisi. In Turchia per descrivere questa situazione usiamo una parola che appartiene al passato. Si chiama imperialismo, gli Usa ce l'hanno connaturato e l'Europa lo sta riscoprendo. In questa lettura il ruolo di Ankara nella crisi libica, anche solo dal punto di vista simbolico, è importantissimo".